lunedì 30 maggio 2011

Il Femminismo e la Spaccatura Liberal-Radicale ( colin wright)

Il Femminismo e la Spaccatura Liberal-Radicale

"... il successo della piena libertà delle donne (di tutte le donne, 
non di poche privilegiate) presuppone profondi 
cambiamenti economici, sociali e politici che, nel 
verificarsi di un tale sviluppo storico, non 
permetterebbero all'attuale
status quo di sopravvivere" Hester Eisenstein (p. xvii).

Come minimo, il femminismo è un impegno per l'uguaglianza fra i generi, un riconoscimento che la dominazione maschile esiste ed è sbagliata. Trova le sue radici nella tradizione liberale dell'autonomia e della libertà di scelta. Questa tradizione è ancora forte tutt'oggi ed è ben rappresentata dalle femministe liberali. Queste femministe credono che l'uguaglianza può essere raggiunta attraverso la modifica del presente sistema, attraverso la promozione di maggiori occasioni di equità (incremento degli accessi all'educazione e ai luoghi di lavoro, ecc.). Comunque, gli anni '60 e '70 hanno visto emergere un nuovo radicalismo femminista di diversi tipi - radicale, socialista, lesbico, nero, anarchico, ecc. Le femministe radicali, in contrapposizione alle femministe liberali, credono che l'intero sistema - liberalismo patriarcale - sia una struttura sbagliata, disegnata da e per gli interessi dei soli uomini. Quindi, per queste femministe, il femminismo è poco meno che rivoluzionario. Purtroppo, visto che i media hanno dato accesso soltanto al femminismo tradizionale o liberale, il potenziale rivoluzionario del femminismo è stato oscurato e degradato. Nel frattempo, il significato del femminismo liberale è stato dibattuto, senza nessun consenso da parte della comunità femminista riguardo la sua reale definizione. La socialista femminista Zillah Eisenstein crede che le contraddizioni del femminismo liberale - possono le donne essere uguali nello stato liberale patriarcale? - porteranno finalmente a uno sbocco verso l'esterno e indicheranno la strada per una nuova società radicale. Nelle sue parole, "la contraddizione tra liberalismo (patriarcale e individualista nella struttura e nell'ideologia) e femminismo ( come uguaglianza sessuale e collettiva) pone le basi per il movimento femminista che va oltre il liberalismo" (Zillah Eisenstein, p.3). Altre sono meno sicure. Bell Books scrive che il "processo con cui emergerà questo radicalismo sarà poco chiaro... L'impatto positivo delle riforme liberali sulla vita delle donne potrebbe non portare allo sradicamento del sistema di dominazione" (Books, p.l9). Per Books, "gli impulsi rivoluzionari devono interagire liberamente con le nostre teorie e le nostre pratiche se realmente il movimento femminista vuole porre fine all'oppressione e progredire, se vogliamo seriamente trasformare la nostra realtà attuale" (Books, p.l63). Infatti le radici del radicalismo femminista si estendono (alla fine) del diciannovesimo secolo, quando ha luogo una spaccatura tra liberalismo e radicalismo. Margaret Marsh in un recente studio fornisce la cronaca di un movimento femminista anarchico precedente (Marsh). Presagendo la seconda ondata del femminismo radicale, con la convinzione che "il personale è politico", queste femministe anarchiche insistono su questo concetto:

"la subordinazione femminile è radicata in un sistema obsoleto di relazioni sessuali e familiari. Attaccando il matrimonio, spesso premendo sulla varietà sessuale - insistendo sull'indipendenza economica e psicologica e a volte negando la responsabilità materna, si punta in realtà all'autonomia personale come a una componente essenziale dell'uguaglianza sessuale, sottolineando che i diritti legali e politici non porterebbero allo stesso tipo di equità".(Marsh, p.5)

Nel frattempo, le femministe liberali (caratterizzate da Elizabeth Cady Stanton) cercano l'uguaglianza con gli uomini spingendo per il diritto al voto. Solo con l'emersione delle femministe anarchiche e delle recenti femministe radicali si inizia a sfidare la dicotomia pubblico-domestica. Alla fine, le votanti hanno vinto il giorno (e il voto), e la sfera privata come la questione femminista vengono dimenticate. E mentre Emma Goldman e Margaret Sanger continuano a combattere per il controllo delle nascite, la sessualità diventa il regno di Freud e Reich. Come questione politica, la sessualità deve attendere l'avvento di Kate Millett o Shulamith Firestone nella nostra nuova era. La teoria anarchica femminista è stata trascurata nel nostro tempo (e non solo dagli uomini anarchici). Di conseguenza, sia l'anarchismo che il femminismo ne soffrono. Ad esempio, poche delle nuove socialiste o delle femministe radicali sviluppano critiche sullo stato-nazione. Prevedibilmente, dopo poco, inziano ad emergere gli argomenti in favore dello "stato femminista" (MacKinnon). E mentre le tattiche anarchiche per l'azione diretta hanno giocato una parte importante all'interno del movimento anarchico, il numero di anarco-femministe dichiarate rimane inferiore rispetto a quello delle socialiste, delle radicali e delle liberali. Una prospettiva un po' differente dell'attuale spaccatura fra radicali e liberali ci viene offerta da Angela Miles. Riconoscendo che le tradizionali divisioni e le strutture - liberali, socialiste, anarchiste, nere, ecc. - rispecchiano una politica polarizzata e creata dagli uomini, preferibilmente spinge per un modello centrato sulla donna che chiama "femminismo integrativo". In questo modo cerca di unire le femministe "rivoluzionarie/evoluzionarie" per sfidare "i sistemi mondiali di dominazione" (Miles, p.l4). Afferma che "esiste un gran numero di femministe che, malgrado la diversità delle proprie analisi e dei propri argomenti, condivide il femminismo come embrione di nuove politiche di generale rilevanza e di significato universale" (Miles, p.20). Spesso, afferma Miles, queste femministe hanno molto più in comune con chi non condivide le stesse medesime posizioni. Tuttavia, il femminismo utile è quello che unisce, e penso che sia inevitabile il momento in cui queste contraddizioni troveranno sfogo. Ad esempio, mentre ci si oppone a "tutte" le forme di dominazione, bisogna chiarire la propria posizione rispetto allo stato. Qui non punto a rifiutare dogmaticamente lo stato ( e a dividere le femministe), ma piuttosto a trovare le implicazioni per la pratica. Le femministe "integrative" vogliono costruire una società dal basso oppure desiderano solo che qualche loro richiesta venga supplita dalle istituzioni statiste, senza riconoscere la relativa natura dominante dello stato?

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