lunedì 30 maggio 2011

ANARCHIA malatesta (parte 7)

Assodato che l'anarchia è il modo di convivenza sociale che solo lascia aperta la via al raggiungimento del maggior bene possibile degli uomini, poiché essa sola distrugge ogni classe interessata a tenere oppressa e misera la massa; assodato che l'anarchia è possibile e poiché in realtà non fa che sbarazzare l'umanità di un ostacolo, il governo, contro cui ha dovuto sempre lottare per avanzare nel suo penoso cammino, gli autoritarii si ritirano nelle loro ultime trincee; dove sono rinforzati da molti che pur essendo caldi amatori di libertà e di giustizia, han paura della libertà, e non sanno decidersi ad immaginare un'umanità che viva e cammini senza tutori e senza pastori, e, incalzati dalla verità, domandano pietosamente che si rimetta la cosa al più tardi, al più tardi possibile.
Ecco la sostanza dagli argomenti che in questo punto della discussione ci vengono opposti.
Questa società senza governo, che si regge per mezzo della cooperazione libera e volontaria; questa società, che s'affida in tutto all'azione spontanea dagl'interessi ed è tutta fondata sulla solidarietà e sull'amore, è certamente, essi dicono, un ideale bellissimo ma, come tutti gli ideali, sta nelle nuvole. Noi ci troviamo in una umanità che ha sempre vissuto divisa in oppressi ed oppressori; e se questi sono pieni dello spirito di dominazione ed hanno tutti i vizii dei tiranni, quelli sono rotti al servilismo ed hanno i vizii anche peggiori che produce la schiavitù. Il sentimento della solidarietà è lungi dall'essere dominante tra gli uomini attuali, e se è vero che gli uomini sono e diventano sempre più solidali tra loro, è anche vero che quello che più si vede e più lascia l'impronta sul carattere umano è la lotta per l'esistenza, che ciascuno combatte quotidianamente contro tutti, è la concorrenza che incalza tutti, operai e padroni, e fa che ogni uomo diventi il lupo dell'altro uomo. Come mai potranno questi uomini, educati, in una società basata sull'antagonismo delle classi e degli individui, trasformarsi d'un tratto e divenire capaci di vivere in una società in cui ciascuno farà quel che vorrà, e dovrà, senza coercizione esterna, per impulso della propria natura, volere il bene degli altri? E con che coraggio, con che senno affidereste voi le sorti della rivoluzione, le sorti della umanità, ad una turba ignorante, anemizzata della miseria, abbrutita dal prete, che oggi sarà stupidamente sanguinaria, e domani si farà goffamente raggirare da un furbo, o piegherà servilmente il collo sotto il calcagno del primo uomo d'armi che oserà farsi padrone? Non sarà più prudente avviarsi all'ideale anarchico passando per una repubblica democratica o socialista? Non sarà necessario un governo educatore, composto dei migliori, per preparare le generazioni ai destini futuri?
Anche queste obiezioni non avrebbero ragion di essere se noi fossimo riusciti a farci capire ed a convincere i lettori in quello che abbiamo detto più avanti; ma in ogni modo, anche a costo di doverci ripetere, sarà bene rispondervi.
Noi ci troviamo sempre di fronte al pregiudizio che il governo sia una forza nuova, sorta non si sa di dove, che aggiunga per se stesso qualche cosa alla somma delle forze e delle capacità di coloro che lo compongono e di coloro che gli ubbidiscono. Invece tutto ciò che si fa nell'umanità, si fa dagli uomini; ed il governo, come governo, non ci mette di suo che la tendenza a far di tutto un monopolio a favore di un dato partito o di una data classe, e la resistenza contro ogni iniziativa che sorge fuori della sua consorteria.
Abolire l'autorità, abolire il governo non significa distruggere le forze individuali e collettive che agiscono nell'umanità, né le influenze che gli uomini esercitano a vicenda gli uni su gli altri:questo sarebbe ridurre l'umanità allo stato di ammasso di atomi staccati ed inerti, cosa che è impossibile, e che, se mai fosse possibile, sarebbe la distruzione di ogni società, la morte dell'umanità. Abolire l'autorità, significa abolire il monopolio della forza e dell'influenza; significa abolire quello stato di cose per cui la forza sociale, cioè la forza di tutti, è stata strumento del pensiero, della volontà, degli interessi di un piccolo numero d'individui, i quali, mediante la forza di tutti, sopprimono, a vantaggio proprio e delle proprie idee, la libertà di ciascuno; significa distruggere un modo di organizzazione sociale col quale l'avvenire resta accaparrato, tra una rivoluzione e l'altra, a profitto di coloro che sono stati i vincitori di un momento.
Michele Bakunin in uno scritto pubblicato nel 1872, dopo aver detto che i grandi mezzi d'azione dell'Internazionale erano la propaganda delle sue idee e l'organizzazione dell'azione naturale dei suoi membri sulle masse, aggiunge:
"A chiunque pretendesse che un'azione così organizzata sarebbe un attentato contro la libertà delle masse, un tentativo di creare un nuovo potere autoritario, noi risponderemmo ch'egli non è che un sofista ed uno sciocco. Tanto peggio per quelli che ignorano la legge naturale e sociale della solidarietà umana, al punto da immaginare che un'assoluta indipendenza mutua degl'individui e delle masse sia una cosa possibile, o almeno desiderabile. Desiderarla significa volere la distruzione della società, poiché tutta la vita sociale non è altra cosa che questa indipendenza mutua, incessante degli individui e delle masse.
Tutti gli individui, siano pure i più intelligenti ed i più forti, anzi soprattutto i più intelligenti ed i più forti, ne sono, in ogni istante della loro vita, nello stesso tempo i produttori ed i prodotti. La stessa libertà di ogni individuo non è che la risultante, riprodotta continuamente, di questa massa d'influenze materiali, intellettuali e morali, esercitate sopra di lui da tutti gli individui che lo circondano dalla società in mezzo a cui egli nasce, si sviluppa e muore. Volere sfuggire a questa influenza, in nome di una libertà trascendentale, divina, assolutamente egoista e bastante a se stessa, è la tendenza al non essere; volere rinunziare ad esercitarla sugli altri, significa rinunciare ad ogni azione sociale, all'espressione perfino dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, e si risolve pure nel non-essere Questa indipendenza, tanto vantata dagl'idealisti e dai metafisici, e la libertà individuale, concepita in questo senso, sono dunque il niente.
"Nella natura, come nella società umana, che non è altra cosa che questa stessa natura, tutto ciò che vive, non vive che alla condizione suprema d'intervenire, nel modo più positivo e tanto potentemente quanto lo comporta la sua natura, nella vita degli altri. L'adozione di questa influenza mutua sarebbe la morte. E quando noi rivendichiamo la libertà delle masse, non pretendiamo per nulla abolire nessuna delle influenze naturali che individui o gruppi d'individui esercitano su di esse: ciò che noi vogliamo è l'abolizione delle influenze artificiali, privilegiate, legali, ufficiali".

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