domenica 29 maggio 2011

IL DOGMA INDIVIDUALISTA E’ IL SOLO DOGMA FRATERNO

Che non mi si parli di rivelazione, di tradizione, di filosofia cinese, fenicia, egiziana, ebraica, greca, romana, tedesca o francese; al di fuori della mia fede o della mia religione di cui non devo dar conto a nessuno, non so che farmene delle divagazioni degli antenati; non ho antenati ! Per me, la creazione del mondo data dal giorno della mia nascita; per me, la fine del mondo si compirà il giorno che restituirò alla massa elementare l’apparato e il respiro che costituiscono la mia individualità. Sono il primo uomo, sarò l’ultimo. La mia storia è il riassunto completo della storia dell’umanità; non ne conosco, non voglio conoscerne altra. Quando soffro, che bene me ne viene dai piaceri degli altri ? Quando godo io, che ricavano dai miei piaceri coloro che soffrono ? Che m’importa di quel che si è fatto prima di me ? In cosa sono toccato da ciò che si farà dopo di me ? Non devo servire né da olocausto in confronto alle generazioni estinte, né da esempio per la posterità. Mi ritiro nel circolo della mia esistenza, ed il solo problema da risolvere è quello del mio benessere. Non ho che una dottrina, questa dottrina ha una sola formula, questa formula non ha che una parola: GODERE !
Giusto chi lo confessa; impostore chi lo nega.
Questo è un individualismo crudo, un egoismo nativo, non lo nego, lo confesso, lo constato, me ne vanto ! Indicatemi, per interrogarlo, chi potrebbe lagnarsene e rimproverarmi. Vi procura qualche danno il mio egoismo ? Se dite no, non avete niente da obiettare, poiché sono libero in tutto quanto non possa nuocervi. Se dite sì, siete un briccone, perché essendo il mio egoismo solo una semplice appropriazione di me ad opera di me stesso, un appello alla mia identità, un’affermazione come individuo, una protesta contro ogni supremazia, se vi sentite leso dall’atto consistente nella mia propria presa di possesso, dalla conservazione da me operata sulla mia persona, vale a dire dalla meno contestabile delle mie proprietà, voi confessate che io vi appartengo o perlomeno che avete delle mire su di me; siete un proprietario d’uomini affermato o in via di affermazione, un accaparratore, un agognatore dell’altrui bene, un furbetto.
Non c’è via di mezzo: o è l’egoismo ad essere di diritto, oppure c’è furto; o bisogna che io mi appartenga, oppure occorre che io cada in possesso di qualcuno. Non si può dire che rinunci a me stesso a profitto di tutti, poiché dovendo tutti rinunciare come me, nessuno vincerebbe, in questo gioco stupido, nient’altro che il già perduto, e rimarrebbe di conseguenza in pari, vale a dire senza profitto, il che renderebbe tale rinuncia assurda. Dal momento dunque che l’abnegazione di tutti non può essere di vantaggio per tutti, deve necessariamente profittare ad alcuni; questi pochi sono allora i possessori di tutti, e sono probabilmente quelli che si lamenteranno del mio egoismo.
Ebbene, incassino allora i valori che ho sottoscritto in loro onore.
Ogni uomo è un egoista; chiunque smetta di esserlo è una cosa. Chi pretenda che non bisogna esserlo è un baro.
Ah sì, capisco. Il termine non suona bene; l’avete fino ad ora applicato a chi non si contentava del suo proprio bene, a chi attirava a sé il bene altrui; ma queste persone sono nell’ordine umano, siete voi a non esserci. Lamentandovi della loro rapacità, sapete quel che fate ? Constatate la vostra imbecillità. Fin ad oggi avete creduto che ci fossero dei tiranni ! Bene, vi siete ingannati, non ci sono che schiavi: laddove nessuno obbedisce, nessuno comanda.
Ascoltate bene: il dogma della rassegnazione, dell’abnegazione, della rinuncia di sé è stato predicato alle popolazioni.
Che ne è risultato ?
Il papato e la regalità per grazia di Dio, e quindi le caste episcopali e monacali, principesche e nobiliari.
Oh ! il popolo si è rassegnato, si è annichilito, da lungo tempo ha rinunciato ha sé stesso.
Era un bene ?
Che ve ne sembra ?
Certo, il maggior piacere che possiate fare ai vescovi un po’ sconcertati, alle assemblee che hanno sostituito i re, ai ministri che hanno rimpiazzato i principi, ai prefetti che hanno dato il cambio ai duchi gran vassalli, ai sottoprefetti che hanno surrogato i baroni piccoli vassalli, e a tutta la sequela dei funzionari subalterni che fanno le veci di cavalieri, vicedomini e nobilucci della feudalità; il più gran piacere, dicevo, che possiate fare a tutta questa nobiltà budgetaria, è di ritornare al più presto al dogma tradizionale della rassegnazione, dell’abnegazione e della rinuncia a voi stessi.
Vi troverete un bel po’ di protettori che vi consiglieranno il disprezzo delle ricchezze a rischio di sbarazzarvene; troverete parecchi devoti che, per salvarvi l’anima, vi predicheranno la continenza, salvo trarre dall’imbarazzo le vostre donne, figlie o sorelle. Non ci mancano, grazie a Dio,  amici devoti che per noi si dannerebbero se ci decidessimo ad ottenere il cielo seguendo il vecchio cammino della beatitudine, da cui cortesemente si allontanano al fine, senza dubbio, di non sbarrarci il passaggio.
Perché tutti questi continuatori dell’antica ipocrisia non si sentono più a loro agio sui trespoli preparati dai predecessori ?
Perché ?
Perché l’abnegazione dilegua e l’individualismo cresce; perché l’uomo si scopre abbastanza bello da osar gettare la maschera e mostrarsi com’è.
L’abnegazione è schiavitù, avvilimento, abiezione; è il re, è il governo, è la tirannia, è la lotta, è la guerra civile.
L’individualismo, al contrario, è l’affrancamento, la grandezza, la nobiltà; è l’uomo, è il popolo, è la libertà, è la fraternità, è l’ordine. (…)

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