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domenica 28 agosto 2011

Distruggi l'economia di John Zerzan

Attualmente le nostre vite dipendono dal successo dell'economia.
Dal momento che la nostra società è guidata dalla produzione e dal consumo di merci, siamo continuamente costretti a comprare la nostra esistenza su questo pianeta da quelli che lo controllano.
Per avere di che pagarci casa, cibo, vestiti e altre necessità, dobbiamo cercare un ruolo nell'interminabile processo di espansione commerciale. La produzione di massa trasforma paesaggi e ecosistemi brulicanti di vita in piantagioni agricole omogenee, in desolate industriali inguardabili e cancerogene, in distese urbane socialmente distruttive. Prendiamo parte al processo non solo consumando, ma lavorando. Per la maggior parte di noi, il lavoro non è un attività creativa che ci permette di esplorare i nostri interessi individuali, bensì un'autonegazione, paralisi mentale, stressante, e spesso una fatica nociva compiuta solo per guadagnare un salario.
Tuttavia, non ci interessa mettere in discussione l'intera desiderabilità dell'industria e del commercio, incuranti del nostro odio verso i capi, della nostra tristezza allorchè siamo testimoni della conversione degli spazi aperti in quartieri residenziali, della nostra solitudine quando siamo isolati in casa senza niente di meglio da fare che guardare la televisione, oppure dei nostri disturbi fisici e mentali contratti come risultato.
Anche chi percepisce la negatività di un economia in continua espansione darà tipicamente il benvenuto alla sua presenza, perchè solo lei potrà fornire i lavori di cui abbiamo così disperatamente bisogno per pagare le bollette.
E se non ci fossero bollette da pagare? Questo è stato il caso per più del 99% della storia umana. Solo di recente la società sono giunte a basarsi sulla produzione forzata di massa. Le culture indigene che sono state assimiliate o distrutte dalla civiltà industriale (insieme alle poche che ancora lottano per resistere alla sua influenza) sono state contente di soddisfare i propri bisogni direttamente cacciando, pescando, coltivando, raccogliendo e pascolando greggi.
Da qui, per loro non c'è mai stato bisogno di sfruttatori intermediari quali capi, proprietari terrieri, poliziotti, politici, "esperti" autoproclamatisi tali, etc.. lontani dal vivere una fatica, hanno goduto di un esistenza di relativo agio, lavorando raramente più di 3-4 ore al giorno. Inoltre, cercare cibo o coltivare i compagnia di persone amiche godendo del paesaggio naturale è una forma di "lavoro" molto più significativa e soddisfacente che l'attività lavorativa meccanizzata e regimentata tipica dei giorni nostri. Sebbene per l'odierna popolazione di 6 miliardi non sia possibile vivere come cacciatori-raccoglitori, è stato dimostrato da alcune comunità alternativa che è possibile coltivare un'esistenza autosufficiente e sostenibile attraverso mezzi differenti (permacoltura, orticoltura organica etc..), riducendo così il bisogno di economia industriale su vasta scala, insieme alla devastazione ecologica e ai metodi coercitivi di organizzazione che questa comporta.
Sfortunatamente, per la maggior parte delle persone risulta difficile vivere in maniera autosufficiente (o imparare come fare), perchè devono dedicare tempo ed energia nel lavoro salariato per pagare l'ipoteca della casa. Anche quelli che riescono ad evitare il lavoro, oggi lo possono fare solo entro i confini di un paese devastato a livello ambientale e in atmosfera politica autoritaria. Saremo liberati dalla necessità di lavorare solo quando avremo rifiutato con forza l'obbligo di pagare per la libertà di usare e occupare le terre che ci sono state sottratte. Il mondo naturale può essere preservato e ristabilito solo quando avremo rifiutato con forza l'obbligo di pagare per la libertà di usare e occupare le terre che ci sono state sottratte. Il mondo naturale può essere preservato e ristabilito solo quando saranno smantellati gli attrezzi della produzione di massa. Se noi riconosciamo che l'economia è un male non necessario, non dobbiamo solo scoprire modi creativi per sopravvivere senza di essa, ma anche distruggerla.