lunedì 30 maggio 2011

ANARCHIA malatesta (parte 4)


Noi abbiamo finora considerato il governo quale è, quale deve necessariamente essere, in una società fondata sul privilegio, sullo sfruttamento e l'oppressione dell'uomo da parte dell'uomo, sull'antagonismo degl'interessi, sulla lotta intrasociale, in una parola sulla proprietà individuale.
Abbiamo visto come lo stato di lotta, lungi dall'essere una condizione necessaria della vita dell'umanità, è contrario agli interessi degli individui e della specie umana; abbiamo visto come la cooperazione. la solidarietà è legge del progresso umano, ed abbiamo conchiuso che abolendo la proprietà individuale ed ogni predominio, il governo perde ogni ragione di essere e si deve abolire.
"Però (ci si potrebbe dire) cambiato il principio su cui è fondata oggi l'organizzazione sociale, sostituita la solidarietà alla lotta, la proprietà comune alla proprietà individuale, il governo cambierebbe natura ed invece di essere il protettore ed il rappresentante degli interessi di una classe, sarebbe, poiché classi non ve ne sono più, il rappresentante degli interessi di tutta la società. Esso avrebbe missione di assicurare e regolare, nell'interesse di tutti, la cooperazione sociale, compiere i servizi pubblici d'importanza generale, difendere la società dai possibili tentativi diretti a ristabilire il privilegio, e prevenire e reprimere gli attentati, da chiunque commessi, contro la vita, il benessere e la libertà di ciascuno.
Vi sono nella società delle funzioni troppo necessarie, che richiedono troppa costanza, troppa regolarità, per poter essere lasciati alla libera volontà degl'individui, senza pericolo di vedere andare ogni cosa a soqquadro.
Chi organizzerebbe e chi assicurerebbe, se non vi fosse un governo, i servizi di alimentazione, di distribuzione, d'igiene, di posta, telegrafo, ferrovie, ecc? Chi curerebbe l'istruzione popolare? Chi intraprenderebbe quei grandi lavori di esplorazioni, di bonifiche, d'intraprese scientifiche, che trasformano la faccia della terra, e centuplicano le forze dell'uomo?
Chi veglierebbe alla conservazione ed all'aumento del capitale sociale per tramandarlo arricchito e migliorato all'umanità avvenire?
Chi impedirebbe la devastazione delle foreste, lo sfruttamento irrazionale e quindi l'impoverimento del suolo?
Chi avrebbe mandato di prevenire e reprimere i delitti, cioè gli atti antisociali?
E quelli che, mancando alla legge di solidarietà, non volessero lavorare? E quelli che spargessero l'infezione in un paese, rifiutandosi di sottomettersi alle regole igieniche riconosciute utili dalla scienza? E se vi fossero di quelli che, matti o no, volessero bruciare il raccolto, o violare i bambini, o abusare sui più deboli della loro forza fisica?
Distruggere la proprietà individuale e abolire i governi esistenti, senza poi ricostruire un governo che organizzasse la vita collettiva ed assicurasse la solidarietà sociale, non sarebbe abolire i privilegi e portare sul mondo la pace ed il benessere; ma sarebbe distruggere ogni vincolo sociale, respingere l'umanità verso la barbarie, verso il regno del ciascuno per sé, che è il trionfo della forza brutale prima, del privilegio economico dopo".
Queste sono le obbiezioni che ci oppongono gli autoritarii anche quando sono socialisti, cioè quando vogliono abolire la proprietà individuale ed il governo di classe che ne deriva.
Rispondiamo.
Prima di tutto non è vero che cambiate le condizioni sociali, il governo cambierebbe di natura e di funzione. Organo e funzione sono termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione, e, o l'organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettere un esercito in un paese in cui non ci siano né ragioni, né paure di guerra interna o esterna, ed esso provocherà la guerra, o, se non ci riesce, si disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e delinquenti da arrestare, provocherà, inventerà i delitti ed i delinquenti, o cesserà di esistere.
In Francia esiste da secoli un'istituzione, oggi aggregata all'amministrazione delle foreste, la lupatteria (louveterie) i cui ufficiali hanno incarico di provvedere alla distruzione dei lupi ed altre bestie nocive. Nessuno sarà meravigliato apprendendo che è appunto a causa di questa istituzione che i lupi esistono ancora in Francia, e nelle stagioni rigorose vi fanno strage. Il pubblico si occupa poco di lupi, perché vi sono i lupattieri che vi debbono pensare; ed i lupattieri fanno sì la caccia, ma la fanno intelligentemente, risparmiando i nidi e dando tempo alla riproduzione, per non rischiare di distruggere una specie così interessante. I contadini francesi infatti hanno poca fiducia in questi lupattieri, e li considerano piuttosto come i conservatori dei lupi. E si capisce: che farebbero i "luogotenenti di lupatteria" se non vi fossero più lupi?
Un governo, cioè un numero di persone incaricato di far le leggi ed abilitato a servirsi della forza di tutti per obbligare ciascuno a rispettarle, costituisce già una classe privilegiata e separata dal popolo. Esso cercherà istintivamente, come ogni corpo costituito, di allargare le sue attribuzioni di sottrarsi al controllo del popolo, di imporre le sue tendenze e di far predominare i suoi interessi particolari. Messo in una posizione privilegiata, il governo già si trova in antagonismo colla massa, dalla cui forza dispone.
Del resto un governo anche volendo, non potrebbe contentar tutti, se pur riuscisse a contentar qualcuno. Dovrebbe difendersi contro i malcontenti, e quindi dovrebbe cointeressare una parte del popolo per esserne appoggiato. E così ricomincerebbe la vecchia storia della classe privilegiata che si costituisce colla complicità del governo, e che, se questa volta non s'impossesserebbe del suolo, accapparrerebbe certo delle posizioni di favore, appositamente create, e non sarebbe meno oppressiva né meno sfruttatrice della classe capitalistica.
I governanti, abituati ai comando, non vorrebbero ritornare nella folla, e se non potessero conservare il potere nelle loro mani, si assicurerebbero almeno delle posizioni privilegiate per quando dovranno passarlo in mano di altri. Userebbero di tutti i mezzi che ha il potere, per far eleggere a loro successori gli amici loro, ed esserne poscia a loro volta appoggiati e protetti. E così il governo passerebbe e ripasserebbe nelle stesse mani, e la democrazia, che è il preteso governo di tutti, finirebbe, come sempre, in oligarchia, che è il governo di pochi, il governo di una classe.
E che oligarchia strapotente, oppressiva, assorbente sarebbe mai quella che avrebbe a suo carico, cioè a sua disposizione, tutto il capitale sociale, tutti i servizi pubblici, dall'alimentazione alla fabbricazione dei fiammiferi, dalle università ai teatri d'operette!!!
Ma, supponiamo pure che il governo non costituisse già da sé una classe privilegiata, e potesse vivere senza creare intorno a sé una nuova classe di privilegiati e restando il rappresentante, il servo, se si vuole, di tutta la società. A che servirebbe esso mai? In che cosa ed in che modo aumenterebbe esso la forza, l'intelligenza, lo spirito di solidarietà, la cura del benessere di tutti e dell'umanità futura, che in un dato momento si trovano esistenti in una data società?
È sempre la vecchia storia dell'uomo legato, che essendo riuscito a vivere malgrado i ceppi, crede di vivere a causa dei ceppi. Noi siamo abituati a vivere sotto di un governo, che accaparra tutte quelle forze, quelle intelligenze, quelle volontà, che può dirigere ai suoi fini; ostacola, paralizza, sopprime quelle che gli sono inutili od ostili, e ci immaginiamo che tutto ciò che si fa nella società si fa per opera del governo, e che senza governo non ci sarebbe più nella società né forza, né intelligenza, né buona volontà. Così (lo abbiamo già detto) il proprietario che s'è impossessato della terra la fa coltivare per il suo profitto particolare, lasciando al lavoratore lo stretto necessario perché esso possa e voglia continuare a lavorare, ed il lavoratore asservito pensa che non potrebbe vivere senza il padrone, come se questi creasse la terra e le forze della natura.
Che cosa può aggiungere di suo il governo alle forze morali e materiali che esistono in una società? Sarebbe esso per caso come il Dio della Bibbia che crea dal nulla?
Siccome nulla si crea nel mondo che suol chiamarsi materiale, così nulla si crea in questa forma più complicata del mondo materiale che è il mondo sociale. E perciò i governanti non possono disporre che delle forze che esistono nella società, meno quelle grandissime che l'azione governativa paralizza e distrugge, e meno le forze ribelli, e meno tutto ciò che si consuma negli attriti, necessariamente grandissimi in un meccanismo così artifizioso. Se qualche cosa ci mettono del loro, è come uomini e non come governanti che possono farlo. E di quelle forze, materiali e morali, che restano a disposizione del governo, solo una parte piccolissima riceve una destinazione realmente utile alla società. Il resto, o è consumato in attività repressiva per tenere a freno le forze ribelli, o è altrimenti stornato dallo scopo di utilità generale ed adoperato a profitto di pochi ed a danno della maggioranza degli uomini.
Si è fatto un gran discorrere sulla parte che hanno rispettivamente, nella vita e nel progresso delle società umane, l'iniziativa individuale e l'azione sociale; e si è riuscito, coi soliti artifizii del linguaggio metafisico, ad imbrogliare talmente le cose, che poi sono apparsi audaci coloro i quali hanno affermato che tutto si regge e cammina nel mondo umano per opera dell'iniziativa individuale. In realtà è questa una verità di senso comune, che appare evidente non appena si cerca di rendersi conto delle cose che le parole significano. L'essere reale è l'uomo, è l'individuo: la società o collettività - e lo Stato o governo che pretende rappresentarla - se non sono vuote astrazioni, non possono essere che aggregati d'individui. Ed è nell'organismo di ciascun individuo che hanno necessariamente origine tutti i pensieri e tutti gli atti umani, i quali, da individuali, diventano pensieri ed atti collettivi quando sono o si fanno comuni a molti individui. L'azione sociale, dunque, non è né la negazione, né il complemento dell'iniziativa individuale, ma è la risultante delle iniziative, dei pensieri e delle azioni di tutti gli individui che compongono la società: risultante che, posta ogni altra cosa eguale, è più o meno grande secondo che le singole forze concorrono allo stesso scopo, o sono divergenti od opposte. E se invece, come fanno gli autoritarii, per azione sociale s'intende l'azione governativa, allora essa è ancora la risultante di forze individuali, ma solo di quegli individui che fanno parte del governo, o che per la loro posizione possono influire sulla condotta del governo.
Quindi, nella contesa secolare tra libertà ed autorità, o, in altri termini, tra socialismo e stato di classe, non è questione veramente di alterare i rapporti tra la società e l'individuo; non è questione di aumentare l'indipendenza individuale a scapito dell'ingerenza sociale, o questa a scapito di quella. Ma si tratta piuttosto di impedire che alcuni individui possano opprimere altri; di dare a tutti gli individui gli stessi diritti e gli stessi mezzi di azione; e di sostituire l'iniziativa di pochi, che produce necessariamente l'oppressione di tutti gli altri. Si tratta insomma, sempre e poi sempre, di distruggere la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in modo che tutti siano interessati al benessere comune, e le forze individuali, invece di esser soppresse o di combattersi ed elidersi a vicenda, trovino la possibilità di uno sviluppo completo, e si associno insieme per il maggior vantaggio di tutti.
Da quanto abbiamo detto risulta che l'esistenza di un governo, anche se fosse, per seguire la nostra ipotesi, il governo ideale dei socialisti autoritarii, lungi dal produrre un aumento delle forze produttive, organizzatrici e protettrici della società, le diminuirebbe immensamente, restringendo l'iniziativa a pochi, e dando a questi pochi il diritto di tutto fare, senza potere, naturalmente, dar loro il dono di tutto sapere.
Infatti, se levate nella legislazione e nell'opera tutta di un governo tutto ciò che è inteso a difendere i privilegiati e che rappresenta la volontà dei privilegiati stessi, che cosa vi resta che non sia il risultato dell'attività di tutti? "Lo Stato ", diceva Sismondi, "è sempre un potere conservatore che autentica, regolarizza, organizza le conquiste del progresso" (e la storia aggiunge che le dirige a profitto proprio e della classe privilegiata) "non mai le inaugura. Esse hanno sempre origine dal basso, nascono dal fondo della società, dal pensiero individuale, che poi si divulga, diventa opinione, maggioranza, ma deve sempre incontrare sui suoi passi e combattere nei poteri costituiti la tradizione, la consuetudine, il privilegio e l'errore".
Del resto per comprendere come una società possa vivere senza governo, basta osservare un pò a fondo nella stessa società attuale, e si vedrà come in realtà la più gran parte, la parte essenziale della vita sociale, si compie anche oggi al di fuori dell'intervento governativo, e come il governo non interviene che per sfruttare le masse, per difendere i privilegiati, e per il resto viene a sanzionare, ben inutilmente, tutto quello che s'è fatto senza di lui, e spesso, malgrado e contro di lui. Gli uomini lavorano, scambiano, studiano, viaggiano, seguono come l'intendono le regole della morale e dell'igiene, profittano dei progressi della scienza e dell'arte, hanno rapporti infiniti tra di loro, senza che sentano bisogno di qualcuno che imponga loro il modo di condursi. Anzi sono appunto quelle cose in cui il governo non ha ingerenza, che camminano meglio, che dan luogo a minori contestazioni e si accomodano, per la volontà di tutti, in modo che tutti ci trovino utile e piacere.
Né il governo è più necessario per le grandi imprese e per quei servizi pubblici che richiedono il concorso regolare di molta gente di paesi e condizioni differenti. Mille di queste imprese sono oggi stesso, l'opera di associazioni di privati, liberamente costituite, e sono, a confessione di tutti, quelle che meglio riescono. Né parliamo delle associazioni di capitalisti, organizzate a scopo di sfruttamento, quantunque esse pure dimostrino la possibilità e la potenza della libera associazione, e come essa può estendersi fino ad abbracciare gente di tutti i paesi ed interessi immensi e svariatissimi. Ma parliamo a preferenza di quelle associazioni che, ispirate dall'amore per propri simili, o dalla passione della scienza, o anche semplicemente dal desiderio di divertirsi e di farsi applaudire, meglio rappresentano gli aggruppamenti quali saranno in una società in cui, abolita la proprietà individuale e la lotta intestina fra gli uomini, ciascuno troverà il suo interesse nell'interesse di tutti, e la sua migliore soddisfazione nel far il bene, e piacere agli altri. Le società e i congressi scientifici, l'associazione internazionale di salvataggio, l'associazione della Croce Rossa, le Società geografiche, le organizzazioni operaie, i corpi di volontari che accorrono al soccorso in tutte le grandi calamità pubbliche, sono esempi, tra mille, di questa potenza dello spirito di associazione che si manifesta sempre quando si tratta di un bisogno o di una passione veramente sentita, e non manchino i mezzi. Ché, se l'associazione volontaria non copre il mondo e non abbraccia tutti i rami dell'attività materiale e morale, si è a causa degli ostacoli messi dai governi, degli antagonismi creati dalla proprietà privata, e dell'impotenza e dell'avvilimento, in cui l'accaparramento della ricchezza da parte di pochi riduce la gran maggioranza degli uomini.
Il governo s'incarica, per esempio, del servizio delle poste, delle ferrovie, ecc. Ma in che cosa aiuta realmente questi servizi? Quando il popolo, messo in grado di poterne godere, sente il bisogno di questi servizi, pensa ad organizzarli, e gli uomini tecnici non hanno bisogno di un brevetto governativo per mettersi al lavoro. E più il bisogno è generale ed urgente, più abbonderanno i volontari per compierlo. Se il popolo avesse facoltà di pensare alla produzione ed alla alimentazione, oh! non temete ch'egli si lasci morire di fame aspettando che un governo abbia fatte delle leggi in proposito. Se governo vi dovesse essere, esso sarebbe ancora costretto di aspettare che il popolo abbia prima di tutto organizzato, per poi venire con delle leggi a sanzionare ed a sfruttare quello che era già fatto. È dimostrato che l'interesse privato è il gran movente di tutte le attività: ebbene, quando l'interesse di tutti sarà l'interesse di ciascuno (e lo sarà necessariamente se non esiste la proprietà individuale) allora tutti agiranno, e se le cose si fanno adesso che interessano a pochi, tanto più e tanto meglio si faranno quando interesseranno a tutti. E si capisce a stento come vi sia della gente che crede che l'esecuzione ed il regolare andamento dei servizi pubblici indispensabili alla vita sociale, siano meglio assicurati se fatti per gli ordini di un governo, anziché direttamente dai lavoratori, che, o per propria elezione, o per accordi cogli altri, han prescelto quel genere di lavoro e lo eseguiscono sotto il controllo immediato di tutti gl'interessati.
Certamente in ogni grande lavoro collettivo v'è bisogno di divisione di lavoro, di direzione tecnica, di amministrazione, ecc. Ma malamente gli autoritari giocano sulle parole per dedurre la ragion di essere del governo dalla necessità, ben reale, di organizzare il lavoro. Il governo, è bene ripeterlo, è l'insieme degl'individui che hanno avuto o si son preso il diritto ed i mezzi di far le leggi e di forzare la gente ad ubbidire; l'amministratore, l'ingegnere, ecc., sono invece uomini che ricevono o si assumono l'incarico di fare un dato lavoro e lo fanno. Governo significa delegazione di potere, cioè abdicazione della iniziativa e della sovranità di tutti nelle mani di alcuni; amministrazione significa delegazione di lavoro, cioè incarico dato e ricevuto, scambio libero di servigi fondato sopra liberi patti. Il governo è un privilegiato, poiché ha il diritto di comandare agli altri e di servirsi delle forze degli altri, per far trionfare le sue idee ed i suoi desideri particolari; l'amministratore, il direttore tecnico, ecc., sono lavoratori come gli altri, quando, s'intende, lo siano in una società in cui tutti hanno mezzi uguali di svilupparsi e tutti siano o possano essere ad un tempo lavoratori intellettuali e manuali, e non vi restino altre differenze fra gli uomini che quelle derivanti dalla diversità naturale delle attitudini, e tutti i lavoratori, tutte le funzioni diano un diritto eguale a godere dei vantaggi sociali. Non si confonda la funzione governativa con la funzione amministrativa, che sono essenzialmente diverse, e che, se oggi si trovano spesso confuse, è solo a causa del privilegio economico e politico.
Ma affrettiamoci a passare alle funzioni, per le quali il governo è considerato, da tutti coloro che non sono anarchici, come veramente indispensabile: la difesa esterna ed interna di una società, vale a dire la guerra, la polizia e la giustizia.
Aboliti i governi e messa la ricchezza sociale a disposizione di tutti, presto spariranno tutti gli antagonismi tra i vari popoli e la guerra non avrà più ragione di esistere. Diremo inoltre che nello stato attuale del mondo, quando la rivoluzione si farà in un paese, se non troverà eco sollecito, dappertutto troverà certo tanta simpatia che nessun governo oserà mandare le truppe all'estero col rischio di vedersi scoppiare la rivoluzione in casa. Ma ammettiamo pure che i governi dei paesi non ancora emancipati volessero e potessero tentare di rimettere in servitù un popolo libero; avrà questo bisogno di un governo per difendersi? Per far la guerra ci vogliono uomini che abbiano le cognizioni geografiche e tecniche necessarie, e soprattutto masse che vogliono battersi. Un governo non può aumentare la capacità degli uni, né la volontà ed il coraggio delle altre. E l'esperienza storica ci insegna come un popolo che voglia davvero difendere il proprio paese sia invincibile: ed in Italia si sa da tutti come, innanzi ai corpi di volontari (formazione anarchica) crollino i troni e svaniscano gli eserciti regolari, composti d'uomini forzati od assoldati
E la polizia? E la giustizia? Molti s'immaginano che se non vi fossero carabinieri, poliziotti e giudici ognuno sarebbe libero di uccidere, di stuprare, di danneggiare gli altri a suo capriccio; e che gli anarchici, in nome dei loro principi, vorrebbero rispettata quella strana libertà, che viola e distrugge la libertà e la vita degli altri. Quasi credono che noi, dopo avere abbattuto il governo e la proprietà individuale, lasceremmo poi ricostruire tranquillamente l'uno e l'altra, per rispetto alla libertà di coloro che sentissero il bisogno di essere governanti e proprietarii. Strano modo davvero d'intendere le nostre idee!... è vero che così riesce più facile sbarazzarsi con una scrollata di spalle, dell'incomodo di confutarle.
La libertà che noi vogliamo, per noi e per gli altri, non è la liberta assoluta, astratta, metafisica, che in pratica si traduce fatalmente in oppressione del debole; ma è la libertà reale, la liberta possibile, che è la comunanza cosciente degli interessi, la solidarietà volontaria. Noi proclamiamo la massima FA QUEL CHE VUOI, ed in essa quasi riassumiamo il nostro programma, perché - ci vuol poco a capirlo - riteniamo che in una società armonica, in una società senza il governo e senza proprietà, ognuno VORRÀ QUEL CHE DOVRÀ.
Ma se, o per le conseguenze, dell'educazione ricevuta dalla presente società o per malore fisico, o per qualsiasi altra causa, uno volesse fare del danno a noi ed agli altri, noi ci adopereremmo, se ne può essere certi, ad impedirglielo con tutti i mezzi a nostra portata. Certo, siccome noi sappiamo che l'uomo è la conseguenza del proprio organismo e dell'ambiente cosmico e sociale in cui vive; siccome non confondiamo il diritto sacro della difesa col preteso assurdo diritto di punire; e siccome nel delinquente, cioè in colui che commette atti antisociali, non vedremmo già lo schiavo ribelle, come avviene al giudice di oggi, ma il fratello ammalato e necessitoso di cura, così noi non metteremmo odio nella repressione, ci sforzeremmo di non oltrepassare la necessità della difesa, e non penseremmo a vendicarci ma a curare, a redimere l'infelice con tutti i mezzi che la scienza ci insegnerebbe. In ogni modo, comunque l'intendessero gli anarchici (ai quali potrebbe accadere come a tutti i teorici di perder di vista la realtà, per correr dietro ad un sembiante di logica) è certo che il popolo non intenderebbe lasciare attentare impunemente al suo benessere ed alla sua libertà, e, se la necessità si presentasse, provvederebbe a difendersi contro le tendenze antisociali di alcuni. Ma per farlo, a che serve della gente che faccia il mestiere di far le leggi; e dell'altra gente che viva cercando ed inventando contravventori alle leggi? Quando il popolo riprova davvero una cosa e la trova dannosa, riesce ad impedirla sempre, meglio che non tutti i legislatori, i birri ed i giudici di mestiere. Quando nelle insurrezioni il popolo ha voluto, ben a torto del resto, far rispettare la proprietà privata, l'ha fatta rispettare come non avrebbe potuto un esercito di birri.
I costumi seguono sempre i bisogni ed i sentimenti della generalità; e sono tanto più rispettati quanto meno sono soggetti alla sanzione della legge, perché tutti ne veggono ed intendono la utilità, e perché gl'interessati, non illudendosi sulla protezione del governo, pensano a farli rispettare da loro. Per una carovana che viaggia nei deserti dell'Africa, la buona economia dell'acqua è questione di vita o di morte per tutti: e l'acqua in quelle circostanze diventa cosa sacra e nessuno si permette di sciuparla. I cospiratori hanno bisogno del segreto, ed il segreto è serbato, o l'infamia colpisce chi lo viola. I debiti di giuoco non sono garantiti dalla legge, e tra i giocatori è considerato e considera se stesso disonorato chi non li paga.
È forse a causa dei gendarmi che non si uccide più di quello che si fa? La maggior parte dei comuni d'Italia non veggono i gendarmi che di tratto in tratto; milioni di uomini vanno per i monti e le campagne, lontani dall'occhio tutelare dell'autorità, in modo che si potrebbe colpirli senza il menomo pericolo di pena: eppure non sono meno sicuri di coloro che vivono nei centri più sorvegliati. E la statistica dimostra come il numero dei reati risente a pena l'effetto delle misure repressive, mentre varia rapidamente col variare delle condizioni economiche e dello stato dell'opinione pubblica.
Le leggi punitive, del resto, non riguardano che i fatti straordinari, eccezionali. La vita quotidiana si svolge al di fuori della portata del codice ed è regolata, quasi inconsciamente, per tacito e volontario assenso di tutti, da una quantità di usi e costumi, ben più importanti alla vita sociale che gli articoli del codice penale, o meglio rispettati, quantunque completamente privi di ogni sanzione che non sia quella naturale della disistima in cui incorrono i violatori, e del danno che dalla disistima deriva.
E quando avvenissero tra gli uomini delle contestazioni, l'arbitrato volontariamente accettato, o la pressione dell'opinione pubblica non sarebbero forse più atti a far aver ragione a chi l'ha, anzi che una magistratura irresponsabile, che ha il diritto di giudicare su tutto e su tutti, ed è necessariamente incompetente e quindi ingiusta?
Come il governo in genere non serve che per la protezione delle classi privilegiate, così la polizia e la magistratura non servono che per la repressione di quei reati che non sono considerati tali dal popolo, e solo offendono i privilegi del governo e dei proprietari. Per la vera difesa sociale, per la difesa del benessere e della libertà di tutti, non v'è nulla di più pernicioso che la formazione di queste classi che vivono col pretesto di difendere tutti, si abituano a considerare ogni uomo come una selvaggina da mettere in gabbia, vi colpiscono senza saper perché, per l'ordine d un capo, quali sicari incoscienti e prezzolati.

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