"... Quanti sifilitici à fatti solo lei? Mettiamo che sono solo 40 al giorno, che codesta bella signorina accontentava, dieci giorni 400 persone. Poi il resto, le conseguenze che vengono dopo". (Lettera N. 13)
"... La ragazza in un giorno a N. à fatto 42 uomini, e sfinita, al giorno dopo, viene la visita del Dottore e la manda all'ospedale con 4 croci in più di Lue [infezione generalmente trasmessa per contagio sessuale; sinonimo di sifilide n.d.r.], ormai una ragazza rovinata". (Lettera N. 19)
"... una giornata speciale contai 120 clienti, 120 lavaggi, 2400 scalini saliti e scesi, e poi, come se non bastasse (tralascio i particolari di scurrilità) alcuni clienti quando hanno finito... ci fanno la morale e ci esortano a cambiar vita... dobbiamo salvare l'anima, ci dicono!!! (Lettera N. 68)
Qualche volta mi capita di pensare che se alcuni libri fossero ristampati, divulgati e magari letti, forse qualcosa comincerebbe a cambiare. Poi invece tocco di nuovo terra e mi rendo conto che i libri da soli non bastano, che ci vuole ben altro. Che bisogna ricominciare a parlarne.
Per esempio di prostituzione.
I tre passi citati più sopra sono tratti da una pubblicazione del 1955, un libro delle Edizioni Avanti! curato da Lina Merlin e Carla Barberis. Lettere dalle case chiuse si intitola. Ed è una raccolta di 70 testimonianze pro e contro la chiusura dei casini corredata da una chiara appendice documentaria sulle norme che hanno regolamentato il mere tricio nel nostro Paese fino al 1958, nonché dal progetto di legge che la stessa senatrice socialista Merlin presentò per la chiusura delle case di tolleranza.
Il prossimo 6 agosto saranno passati 50 anni dalla prima proposta di legge in questo senso. Mezzo secolo. Mezzo secolo durante il quale sono accadute molte cose. Anche il femminismo.
Ma la prostituzione continua ad esistere. Come del resto la stessa Lina Merlin e le sue compagne sapevano bene che sarebbe stato.
E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza? e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose: che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere, una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi dell'amore"; che...?
Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera N.55).
Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema, dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è ben diversa.
"Per difendere il mio intimo, il mio fondo, offrivo agli uomini solo la scorza superficiale", rivela Firdaus, prostituta egiziana d'alto bordo condannata a morte nel 1974 per avere ucciso il suo protettore. (Nawal al Sa'dawi, Firdaus, storia di una donna egiziana)
"Avevo imparato a resistere in maniera passiva, a mantenermi intatta non offrendo niente, a vivere rifugiandomi in un mondo tutto mio. In altre parole concedevo agli uomini il mio corpo, ma un corpo morto, ed essi non potevano suscitare reazioni o tremiti, né darmi piacere o pena".
Ma Firdaus rappresentava un'eccezione: lei era una prostituta di lusso, straordinariamente lucida e consapevole di se stessa.
Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente "immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in mano alle multinazionali della prostituzione.
Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte, spesso.
In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane, albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans".
È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del sesso, l'esercito, la guerra.
"L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione alle Lettere.
E ancora nel 1913, per esempio, in pieno Futurismo -"Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna"-, il "Manifesto futurista della lussuria" di V.Saint Point proclamava:
"La lussuria è pei conquistatori un tributo che loro è dovuto. Dopo una battaglia nella quale sono morti degli uomini è normale che i vincitori, selezionati dalla guerra, giungano fino allo stupro, nel Paese conquistato, per ricreare la vita".
Come pecore, come maiali razziati dopo la vittoria, anche le donne fanno parte del bottino di guerra. Quando non deciderà di sgozzarle dopo averle violentate in tutti modi possibili, come in Algeria, giusto per restare all'attualità, il "conquistatore" è legittimato a marcare il territorio occupato mediante lo stupro etnico. Che è sempre esist ito. Fino alla barbarie della ex Iugoslavia, solo pochi mesi fa. Fino alle torture e agli stupri delle donne indigene in Messico, mentre sto scrivendo.
Ma che cosa differenzia, nella sostanza, uno stupro etnico dalla prostituzione pro-milizie? Una nascita?
Basterebbe leggere anche solo qualche testimonianza delle cosiddette "donne di conforto" di tutti i Paesi dilaniati dai diversi conflitti per rendersi conto che la radice dello stupro etnico e della prostituzione pro-milizie è la stessa: una feroce volontà di dominio. L'esercizio di un potere assoluto sulle donne.
Vern L. Bullough, autore di una delle poche storie della prostituzione in circolazione nelle biblioteche pubbliche, mette in rilievo come siano rari gli storici seri che accettano di approfondire quest'argomento.
Ciò, sottolinea Bullough, nonostante la prostituzione sia "un'istituzione sociale importantissima e strettamente legata alla condizione della donna, al diffondersi delle malattie veneree, all'andamento della natalità e a un vasto numero di problemi sociali, politici e culturali".
Già! Come spiegare le lunghe file di auto che soprattutto di notte percorrono a passo d'uomo i viali delle nostre città, che transitano sulle innumerevoli superstrade alla ricerca di una donna da "caricare". Come spiegare le case d'appuntamento più o meno clandestine, certi locali, la strepitosa serie di annunci sui giornali...
Ma soprattutto: come mettere in relazione questo con il '68; con le battaglie per il diritto d'aborto; con il Movimento del '77; con le lotte sindacali... Con il femminismo?
Di questa contraddizione - macroscopica contraddizione -, sulla quale gli storici di solito preferiscono glissare, il film di Carlo Mazzacurati, Vesna va veloce, è un'intensa e attualissima rappresentazione.
Per quale ragione Antonio [l'attore A. Albanese n.d.r.], il protagonista, che "in una prima stesura era addirittura un comunista molto arrabbiato nei confronti del cambiamento di questi anni nella sua area politica, che viveva da sconfitto ma con orgoglio, da isolato che non si arrende all'idea che l'egualitarismo non abbia più senso, che l'utopi a comunista non abbia più senso..." (Carlo Mazzacurati), sì, per quale ragione, mi domando, per stare con una donna, Antonio "è uno che deve pagare"?
"... deve pagare, in quanto fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera", dice Mazzacurati.
Eh già!
È per questo che anche molti "compagni" comprano il corpo di una donna? per questo la pagano? perché sono "fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera"?
"Vesna ha una dignità superiore - come essere umano e come atteggiamento nei confronti della volgarità che attraversa - a quella del protagonista maschile e di tutti gli altri personaggi", afferma ancora Mazzacurati.
E gli va dato atto che ha almeno la lucidità di ammettere che "è chiaramente un punto di vista maschile".
Perché si tratta del solito punto di vista maschile.
Che apre una porta - Mazzacurati con grande maestria cinematografica - senza però entrare. Senza affondare il coltello nella piaga.
Che rimuove, in sostanza.
Il Comitato etico Donna in lotta contro la prostituzione "si ripromette di ridefinire giuridicamente la prostituzione come stupro a pagamento e intende presentare una proposta di legge che, vietando la prostituzione, definisca il cliente reo nella stessa misura dello stupratore".
Non mi interessa, francamente non mi interessa porre questa questione su un piano giuridico. Però l'idea che la prostituzione possa essere considerata uno "stupro a pagamento" mi fa riflettere.
In definitiva, cos'è che il cliente compra da una prostituta?
Compra un diritto? compra un diritto unilaterale al piacere?
"I soldi ce li hai tu e perciò sei tu che compri ma il piacere ce l'avrai solo tu... ", dice Manila al suo cliente. (Dacia Maraini, Dialogo di una prostituta col suo cliente)
La prostituta non sceglie il suo cliente. Può rifiutarlo, eccezionalmente. Ma non lo sceglie. Esattamente come la donna stuprata.
La prostituta non prova piacere.
E neanche la donna stuprata ne prova. La prostituta non può seguire il suo desiderio. Mai.
Proprio come la donna stuprata, che è considerata un oggetto, la prostituta deve fare quello che ha patteggiato col cliente. Che la pagherà per questo.
L'unica differenza, dunque, sono i soldi.
"... Nei grandi centri lo sfruttamento è massimo: se una signorina guadagna, mettiamo 10 mila lire al giorno, deve dare 5 mila al padrone, 2500 per il vitto e l'alloggio; ma non le restano come crede 2500 lire: da queste deve detrarre le mance, la luce, il riscaldamento, il dottore, i supplementi ecc.. Cosa le resta? Poco o niente! Altro che aman ti, come vogliono sostenere i padroni!" (Lettera N. 21)
A cavallo del '900 Alfred Blaschko sosteneva che "è spettato al diciannovesimo secolo di trasformare la prostituzione in una gigantesca istituzione sociale". (Alfred Blaschko, Prostitution in the Nineteenth Century).
E le ragioni di questo secondo lui, ma non soltanto secondo lui, avrebbero dovuto essere ricercate nel "mercato competitivo", "nella crescita e congestione delle grandi città", nell'"instabilità del lavoro".
Aveva visto giusto.
"Nel nostro Paese, negli ultimi cinque anni, il numero complessivo delle prostitute è aumentato del 45%", hanno reso noto le donne greche che hanno partecipato alla due giorni di convegno delle Donne d'Europa per l'autonomia economica contro la disoccupazione e la precarietà, tenutosi a Milano il 30 e 31 maggio scorsi.
"Nel 1991 le prostitute greche erano il 70% contro il 30% di straniere; nel 1996 le proporzioni erano invece del 40 e del 60%. I prezzi delle prestazioni sono calati del 25%, mentre il reddito complessivo prodotto dalla prostituzione è cresciuto del 70% e la clientela del 60% (i dati sono tratti da uno studio dell'Università di Atene)".
"L'hai detto, occhio di serpente, la donna può solo decidere se prostituirsi in pubblico o in privato, per la strada o in casa, chiaro?", fa dire ancora a Manila la scrittrice Dacia Maraini.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute. Ma siccome ero intelligente, preferivo essere una prostituta libera piuttosto che una moglie schiava", racconta Firdaus alla scrittrice e medica Nawal al Sa'dawi.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute".
È stato proprio questo uno degli assunti su cui, nei primi anni Ottanta, alcune donne del Movimento femminista hanno discusso a lungo.
Erano gli anni del nascente "Comitato per i diritti civili delle prostitute" e del giornale Lucciola, cofondato da Carla Corso e Pia Covre.
E su questo le donne del Movimento si scontrarono, anche.
Se molte ritennero giusto schierarsi dalla parte delle prostitute sostenendone attivamente le battaglie, altre invece, pur solidarizzando, non se la sentirono di condividere la tesi che "è pertanto solo una questione di quantità, se essa [la donna n.d.r.] si vende a un solo uomo, dentro o fuori del matrimonio, oppure a più uomini". (Emma Goldman)
Il problema è complesso. Esiste una questione economica e continua ad esistere una questione sessuale.
Le due cose si sovrappongono in modi diversi.
C'è chi, come già Pia Covre e Carla Corso, sostiene che prostituirsi è un lavoro come un altro, che sesso e sessualità possono essere scissi.
C'è chi, invece, non crede affatto che questo sia possibile senza incorrere in gravissime conseguenze per il benessere psico-fisico della donna. Chi, proprio in virtù di quanto è accaduto in questi ultimi tre decenni, desidera e ricerca per sè una considerazione globale, che tenga conto di tutte le componenti della persona: corpo, mente, cuore.
Si tratta comunque sempre di livelli di discussione alti, quasi d'élite. Infatti, "il sommerso della prostituzione, le centinaia, le migliaia che fanno parte della prostituzione, dove davvero il pappa vive... è una multinazionale!" (Atti del convegno Sessualità: parliamo noi)
Ed è con questa realtà che dobbiamo confrontarci.
Nel 1948 Lina Merlin propose di chiudere le case di tolleranza in base a tre articoli dell'allora recentissimo dettato costituzionale: gli articoli 2, 32 e 41 [vedi riquadro].
Per quale ragione si dovrebbe oggi tornare indietro?
Lina Merlin fu deputata e senatrice del Partito Socialista, ma i principi ideali che la ispirarono non sono forse ancora oggi condivisibili nella sostanza, al di là delle divergenze ideologiche?
"... L'igiene pubblica è veramente un pretesto", scrisse inoltre Merlin facendo piazza pulita, una volta per tutte, delle false ragioni accampate dai benpensanti contro la chiusura delle case di tolleranza
- i "padroni" e lo Stato in queste imprese redditizie ci avevano infatti investito un bel pò di soldi.
"Quelle due visite settimanali, fatte nella casa stessa, senza mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono il nulla, o il peggio, poiché fingono di dare all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il medico serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può offrire la donna ai clienti che si succedono a decine in una sola giornata?"
Eccolo lo spettro: il Contagio.
Per evitare il contagio bisognava e bisogna rinchiudere le prostitute. Controllarle.
"Una volta venuto alla luce tanto orrore perché mandare un messaggio di così grave impotenza alla nostra già disorientata pubblica opinione rimettendo puramente e semplicemente in libertà questa disgraziata vittima-killer [un'immigrata clandestina n.d.r.]?", si domanda il giornalista Guido Bolaffi su la Repubblica dell'8 aprile scorso.
Certo è più facile fare come si è sempre fatto. È più facile puntare il dito sulla prostituta. È lei che deve essere punita, rinchiusa, rimandata al suo Paese d'origine.
Peccato però che questa "disgraziata vittima-killer" abbia avuto dei clienti proprio nel nostro di Paese. Perché credo che anche Guido Bolaffi, una volta ripresosi dallo shock della scoperta dell'esistenza di "tanto orrore", sarà senz'altro d'accordo che questi uomini - italiani - non sono stati violentati.
E forse anche Bolaffi, magari raccogliendo qualche notizia in più come sarebbe peraltro auspicabile da parte di uno che fa informazione, potrà venire a sapere che certe prestazioni a rischio - quelle senza il profilattico - sono sempre andate e vanno tuttora per la maggiore. È merce rara, che costa di più.
Ma il "brivido", si sa, ha il suo prezzo.
"... la difesa della salute pubblica va diversamente organizzata... [...] ... bisogna sviluppare il senso di responsabilità dei propri atti", scriveva la senatrice Merlin nel '55.
Vale ancora oggi, credo.
Ed è sconsolante, molto sconsolante, constatare che possiamo ripetere pari pari gli stessi ragionamenti che sono stati fatti mezzo secolo fa. Che Lina Merlin metteva in relazione con la profilassi antivenerea; che noi, 50 anni dopo, possiamo mettere in relazione con l'AIDS. Con la disinformazione e l'ignoranza che in entrambi i casi hanno circond ato e circondano, complice la Chiesa cattolica, un corretto approccio ai problemi.
La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva, e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici.
Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.
Se non con il controllo e la repressione, come ha sempre fatto [a questo proposito basta leggersi, per esempio, il Testo Unico di P.S. sul meretricio del 18.06.1931, n. 773, e il conseguente Regolamento per l'esecuzione della legge pubblicato con R.D. 06.05.1940, n. 635 n.d.r.].
La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi.
Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a riflettere sulla sessualità in modo libero.
Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci, reciprocamente.
Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro piacere.
Sta in "un rovesciamento completo di tutti i valori accettati comunemente - specialmente quelli morali - unito all'abolizione della schiavitù salariata". (Emma Goldman)
Per esempio di prostituzione.
I tre passi citati più sopra sono tratti da una pubblicazione del 1955, un libro delle Edizioni Avanti! curato da Lina Merlin e Carla Barberis. Lettere dalle case chiuse si intitola. Ed è una raccolta di 70 testimonianze pro e contro la chiusura dei casini corredata da una chiara appendice documentaria sulle norme che hanno regolamentato il mere tricio nel nostro Paese fino al 1958, nonché dal progetto di legge che la stessa senatrice socialista Merlin presentò per la chiusura delle case di tolleranza.
Il prossimo 6 agosto saranno passati 50 anni dalla prima proposta di legge in questo senso. Mezzo secolo. Mezzo secolo durante il quale sono accadute molte cose. Anche il femminismo.
Ma la prostituzione continua ad esistere. Come del resto la stessa Lina Merlin e le sue compagne sapevano bene che sarebbe stato.
E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza? e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose: che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere, una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi dell'amore"; che...?
Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera N.55).
Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema, dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è ben diversa.
"Per difendere il mio intimo, il mio fondo, offrivo agli uomini solo la scorza superficiale", rivela Firdaus, prostituta egiziana d'alto bordo condannata a morte nel 1974 per avere ucciso il suo protettore. (Nawal al Sa'dawi, Firdaus, storia di una donna egiziana)
"Avevo imparato a resistere in maniera passiva, a mantenermi intatta non offrendo niente, a vivere rifugiandomi in un mondo tutto mio. In altre parole concedevo agli uomini il mio corpo, ma un corpo morto, ed essi non potevano suscitare reazioni o tremiti, né darmi piacere o pena".
Ma Firdaus rappresentava un'eccezione: lei era una prostituta di lusso, straordinariamente lucida e consapevole di se stessa.
Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente "immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in mano alle multinazionali della prostituzione.
Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte, spesso.
In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane, albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans".
È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del sesso, l'esercito, la guerra.
"L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione alle Lettere.
E ancora nel 1913, per esempio, in pieno Futurismo -"Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna"-, il "Manifesto futurista della lussuria" di V.Saint Point proclamava:
"La lussuria è pei conquistatori un tributo che loro è dovuto. Dopo una battaglia nella quale sono morti degli uomini è normale che i vincitori, selezionati dalla guerra, giungano fino allo stupro, nel Paese conquistato, per ricreare la vita".
Come pecore, come maiali razziati dopo la vittoria, anche le donne fanno parte del bottino di guerra. Quando non deciderà di sgozzarle dopo averle violentate in tutti modi possibili, come in Algeria, giusto per restare all'attualità, il "conquistatore" è legittimato a marcare il territorio occupato mediante lo stupro etnico. Che è sempre esist ito. Fino alla barbarie della ex Iugoslavia, solo pochi mesi fa. Fino alle torture e agli stupri delle donne indigene in Messico, mentre sto scrivendo.
Ma che cosa differenzia, nella sostanza, uno stupro etnico dalla prostituzione pro-milizie? Una nascita?
Basterebbe leggere anche solo qualche testimonianza delle cosiddette "donne di conforto" di tutti i Paesi dilaniati dai diversi conflitti per rendersi conto che la radice dello stupro etnico e della prostituzione pro-milizie è la stessa: una feroce volontà di dominio. L'esercizio di un potere assoluto sulle donne.
Vern L. Bullough, autore di una delle poche storie della prostituzione in circolazione nelle biblioteche pubbliche, mette in rilievo come siano rari gli storici seri che accettano di approfondire quest'argomento.
Ciò, sottolinea Bullough, nonostante la prostituzione sia "un'istituzione sociale importantissima e strettamente legata alla condizione della donna, al diffondersi delle malattie veneree, all'andamento della natalità e a un vasto numero di problemi sociali, politici e culturali".
Già! Come spiegare le lunghe file di auto che soprattutto di notte percorrono a passo d'uomo i viali delle nostre città, che transitano sulle innumerevoli superstrade alla ricerca di una donna da "caricare". Come spiegare le case d'appuntamento più o meno clandestine, certi locali, la strepitosa serie di annunci sui giornali...
Ma soprattutto: come mettere in relazione questo con il '68; con le battaglie per il diritto d'aborto; con il Movimento del '77; con le lotte sindacali... Con il femminismo?
Di questa contraddizione - macroscopica contraddizione -, sulla quale gli storici di solito preferiscono glissare, il film di Carlo Mazzacurati, Vesna va veloce, è un'intensa e attualissima rappresentazione.
Per quale ragione Antonio [l'attore A. Albanese n.d.r.], il protagonista, che "in una prima stesura era addirittura un comunista molto arrabbiato nei confronti del cambiamento di questi anni nella sua area politica, che viveva da sconfitto ma con orgoglio, da isolato che non si arrende all'idea che l'egualitarismo non abbia più senso, che l'utopi a comunista non abbia più senso..." (Carlo Mazzacurati), sì, per quale ragione, mi domando, per stare con una donna, Antonio "è uno che deve pagare"?
"... deve pagare, in quanto fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera", dice Mazzacurati.
Eh già!
È per questo che anche molti "compagni" comprano il corpo di una donna? per questo la pagano? perché sono "fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera"?
"Vesna ha una dignità superiore - come essere umano e come atteggiamento nei confronti della volgarità che attraversa - a quella del protagonista maschile e di tutti gli altri personaggi", afferma ancora Mazzacurati.
E gli va dato atto che ha almeno la lucidità di ammettere che "è chiaramente un punto di vista maschile".
Perché si tratta del solito punto di vista maschile.
Che apre una porta - Mazzacurati con grande maestria cinematografica - senza però entrare. Senza affondare il coltello nella piaga.
Che rimuove, in sostanza.
Il Comitato etico Donna in lotta contro la prostituzione "si ripromette di ridefinire giuridicamente la prostituzione come stupro a pagamento e intende presentare una proposta di legge che, vietando la prostituzione, definisca il cliente reo nella stessa misura dello stupratore".
Non mi interessa, francamente non mi interessa porre questa questione su un piano giuridico. Però l'idea che la prostituzione possa essere considerata uno "stupro a pagamento" mi fa riflettere.
In definitiva, cos'è che il cliente compra da una prostituta?
Compra un diritto? compra un diritto unilaterale al piacere?
"I soldi ce li hai tu e perciò sei tu che compri ma il piacere ce l'avrai solo tu... ", dice Manila al suo cliente. (Dacia Maraini, Dialogo di una prostituta col suo cliente)
La prostituta non sceglie il suo cliente. Può rifiutarlo, eccezionalmente. Ma non lo sceglie. Esattamente come la donna stuprata.
La prostituta non prova piacere.
E neanche la donna stuprata ne prova. La prostituta non può seguire il suo desiderio. Mai.
Proprio come la donna stuprata, che è considerata un oggetto, la prostituta deve fare quello che ha patteggiato col cliente. Che la pagherà per questo.
L'unica differenza, dunque, sono i soldi.
"... Nei grandi centri lo sfruttamento è massimo: se una signorina guadagna, mettiamo 10 mila lire al giorno, deve dare 5 mila al padrone, 2500 per il vitto e l'alloggio; ma non le restano come crede 2500 lire: da queste deve detrarre le mance, la luce, il riscaldamento, il dottore, i supplementi ecc.. Cosa le resta? Poco o niente! Altro che aman ti, come vogliono sostenere i padroni!" (Lettera N. 21)
A cavallo del '900 Alfred Blaschko sosteneva che "è spettato al diciannovesimo secolo di trasformare la prostituzione in una gigantesca istituzione sociale". (Alfred Blaschko, Prostitution in the Nineteenth Century).
E le ragioni di questo secondo lui, ma non soltanto secondo lui, avrebbero dovuto essere ricercate nel "mercato competitivo", "nella crescita e congestione delle grandi città", nell'"instabilità del lavoro".
Aveva visto giusto.
"Nel nostro Paese, negli ultimi cinque anni, il numero complessivo delle prostitute è aumentato del 45%", hanno reso noto le donne greche che hanno partecipato alla due giorni di convegno delle Donne d'Europa per l'autonomia economica contro la disoccupazione e la precarietà, tenutosi a Milano il 30 e 31 maggio scorsi.
"Nel 1991 le prostitute greche erano il 70% contro il 30% di straniere; nel 1996 le proporzioni erano invece del 40 e del 60%. I prezzi delle prestazioni sono calati del 25%, mentre il reddito complessivo prodotto dalla prostituzione è cresciuto del 70% e la clientela del 60% (i dati sono tratti da uno studio dell'Università di Atene)".
"L'hai detto, occhio di serpente, la donna può solo decidere se prostituirsi in pubblico o in privato, per la strada o in casa, chiaro?", fa dire ancora a Manila la scrittrice Dacia Maraini.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute. Ma siccome ero intelligente, preferivo essere una prostituta libera piuttosto che una moglie schiava", racconta Firdaus alla scrittrice e medica Nawal al Sa'dawi.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute".
È stato proprio questo uno degli assunti su cui, nei primi anni Ottanta, alcune donne del Movimento femminista hanno discusso a lungo.
Erano gli anni del nascente "Comitato per i diritti civili delle prostitute" e del giornale Lucciola, cofondato da Carla Corso e Pia Covre.
E su questo le donne del Movimento si scontrarono, anche.
Se molte ritennero giusto schierarsi dalla parte delle prostitute sostenendone attivamente le battaglie, altre invece, pur solidarizzando, non se la sentirono di condividere la tesi che "è pertanto solo una questione di quantità, se essa [la donna n.d.r.] si vende a un solo uomo, dentro o fuori del matrimonio, oppure a più uomini". (Emma Goldman)
Il problema è complesso. Esiste una questione economica e continua ad esistere una questione sessuale.
Le due cose si sovrappongono in modi diversi.
C'è chi, come già Pia Covre e Carla Corso, sostiene che prostituirsi è un lavoro come un altro, che sesso e sessualità possono essere scissi.
C'è chi, invece, non crede affatto che questo sia possibile senza incorrere in gravissime conseguenze per il benessere psico-fisico della donna. Chi, proprio in virtù di quanto è accaduto in questi ultimi tre decenni, desidera e ricerca per sè una considerazione globale, che tenga conto di tutte le componenti della persona: corpo, mente, cuore.
Si tratta comunque sempre di livelli di discussione alti, quasi d'élite. Infatti, "il sommerso della prostituzione, le centinaia, le migliaia che fanno parte della prostituzione, dove davvero il pappa vive... è una multinazionale!" (Atti del convegno Sessualità: parliamo noi)
Ed è con questa realtà che dobbiamo confrontarci.
Nel 1948 Lina Merlin propose di chiudere le case di tolleranza in base a tre articoli dell'allora recentissimo dettato costituzionale: gli articoli 2, 32 e 41 [vedi riquadro].
Per quale ragione si dovrebbe oggi tornare indietro?
Lina Merlin fu deputata e senatrice del Partito Socialista, ma i principi ideali che la ispirarono non sono forse ancora oggi condivisibili nella sostanza, al di là delle divergenze ideologiche?
"... L'igiene pubblica è veramente un pretesto", scrisse inoltre Merlin facendo piazza pulita, una volta per tutte, delle false ragioni accampate dai benpensanti contro la chiusura delle case di tolleranza
- i "padroni" e lo Stato in queste imprese redditizie ci avevano infatti investito un bel pò di soldi.
"Quelle due visite settimanali, fatte nella casa stessa, senza mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono il nulla, o il peggio, poiché fingono di dare all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il medico serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può offrire la donna ai clienti che si succedono a decine in una sola giornata?"
Eccolo lo spettro: il Contagio.
Per evitare il contagio bisognava e bisogna rinchiudere le prostitute. Controllarle.
"Una volta venuto alla luce tanto orrore perché mandare un messaggio di così grave impotenza alla nostra già disorientata pubblica opinione rimettendo puramente e semplicemente in libertà questa disgraziata vittima-killer [un'immigrata clandestina n.d.r.]?", si domanda il giornalista Guido Bolaffi su la Repubblica dell'8 aprile scorso.
Certo è più facile fare come si è sempre fatto. È più facile puntare il dito sulla prostituta. È lei che deve essere punita, rinchiusa, rimandata al suo Paese d'origine.
Peccato però che questa "disgraziata vittima-killer" abbia avuto dei clienti proprio nel nostro di Paese. Perché credo che anche Guido Bolaffi, una volta ripresosi dallo shock della scoperta dell'esistenza di "tanto orrore", sarà senz'altro d'accordo che questi uomini - italiani - non sono stati violentati.
E forse anche Bolaffi, magari raccogliendo qualche notizia in più come sarebbe peraltro auspicabile da parte di uno che fa informazione, potrà venire a sapere che certe prestazioni a rischio - quelle senza il profilattico - sono sempre andate e vanno tuttora per la maggiore. È merce rara, che costa di più.
Ma il "brivido", si sa, ha il suo prezzo.
"... la difesa della salute pubblica va diversamente organizzata... [...] ... bisogna sviluppare il senso di responsabilità dei propri atti", scriveva la senatrice Merlin nel '55.
Vale ancora oggi, credo.
Ed è sconsolante, molto sconsolante, constatare che possiamo ripetere pari pari gli stessi ragionamenti che sono stati fatti mezzo secolo fa. Che Lina Merlin metteva in relazione con la profilassi antivenerea; che noi, 50 anni dopo, possiamo mettere in relazione con l'AIDS. Con la disinformazione e l'ignoranza che in entrambi i casi hanno circond ato e circondano, complice la Chiesa cattolica, un corretto approccio ai problemi.
La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva, e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici.
Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.
Se non con il controllo e la repressione, come ha sempre fatto [a questo proposito basta leggersi, per esempio, il Testo Unico di P.S. sul meretricio del 18.06.1931, n. 773, e il conseguente Regolamento per l'esecuzione della legge pubblicato con R.D. 06.05.1940, n. 635 n.d.r.].
La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi.
Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a riflettere sulla sessualità in modo libero.
Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci, reciprocamente.
Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro piacere.
Sta in "un rovesciamento completo di tutti i valori accettati comunemente - specialmente quelli morali - unito all'abolizione della schiavitù salariata". (Emma Goldman)
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