La questione dell'aborto è stata già trattata su queste  pagine da Carol Adams, in un articolo sul femminismo e la liberazione  animale1.  Tuttavia, capita ancora che ci venga chiesto, sia da avversari che da  sostenitori della libertà di abortire, qual è la nostra posizione in  merito. I primi sembrano generalmente sperare, e i secondi temere, che  siamo contro l'aborto, probabilmente perché il vegetarismo è spesso  associato all'idea di «rispetto di ogni vita» e di ascetismo «morale»  (nel senso puritano che in genere si dà a questa parola).
L'idea secondo la quale occorre necessariamente prendere  una posizione estrema - e di fatto insostenibile - di «rispetto di ogni  vita» nel momento in cui si rispetta quella delle mucche e dei polli  che vengono ammazzati per niente, consegue essa stessa da una concezione  delle cose profondamente specista. Questo non mi impedirà di prendere  sul serio la questione e di sviluppare qualche riflessione.
Perché sostengo la libertà di abortire
Prima di affrontare il nesso tra la questione dell'aborto e la liberazione animale, spiegherò la mia posizione personale.
Per esempio, personalmente non rispetto la vita delle piante. Non perché le disprezzi, ma perché non penso che siano sensibili, ovvero che percepiscano ciò che succede loro2.  Se esse non provano né piacere nel vivere, né sofferenza nell'essere  tagliate o sradicate, né dispiacere di dover morire, non trovo ragioni  per non farne l'uso che mi conviene, e in particolare per non mangiarle.
Prendo l'esempio delle piante per mostrare la differenza tra rispettare la vita in sé (fenomeno incosciente di sviluppo e riproduzione) e rispettare la vita sensibile, ovvero prendere in considerazione gli interessi degli esseri che hanno degli interessi che devono essere rispettati.
Ora, è praticamente certo che l'embrione umano3  non è sensibile almeno durante le prime 18 settimane di gravidanza (su  un totale di 38 settimane) per via dell'assenza prima e dell'immaturità  poi del suo sistema nervoso. Il neonato invece è sensibile; la  sensibilità appare dunque ad un certo momento nel corso della seconda  metà della gravidanza. Prima, l'essere in questione, che non prova né  piacere né dolore, né timori né speranze, non mi sembra moralmente più  significativo di un filo d'erba o di un sasso.
Ovviamente si potrebbe rispondere che si tratta di un futuro essere sensibile, che bisogna rispettare la sua vita potenziale; mi si potrebbe chiedere, ad esempio: «E a te sarebbe piaciuto se tua madre avesse abortito?»
Ebbene, l'idea che potrei non esistere mi è forse  sgradevole (non fa mai piacere pensare alla propria contingenza), ma  immaginarla come conseguenza di un aborto non è più sgradevole che  immaginarla come conseguenza della contraccezione, o dell'astinenza dei  miei genitori o dall'ipotesi che non si siano incontrati. La sola cosa  che il concepimento assegna ad un essere e che prima non esisteva è il  patrimonio genetico; ma non vedo in cosa ciò implicherebbe che  quell'organismo insensibile, senza storia e senza progetti, che  possedeva quel codice genetico particolare fossi io,  più di quanto lo sarebbe un embrione che fosse clonato a partire dal  mio corpo o un fratello gemello omozigote di cui apprendessi oggi  l'esistenza4.
L'aborto praticato durante le prime 18 settimane dopo la  fecondazione, durante le quali l'embrione non è sicuramente sensibile,  mi sembra assimilabile ad una semplice contraccezione tardiva. Tuttavia,  la decisione di abortire o meno non è di poco conto, perché essa  determina l'esistenza di un futuro essere sensibile; ma allo stesso  titolo di una contraccezione o di una sterilizzazione o dell'assenza  stessa di relazioni sessuali. Penso che oltre al desiderio che si ha  oppure no di avere un bambino, in questa decisione occorra tener conto,  in particolar modo, da un lato della felicità a cui il bambino può  aspirare e dall'altro della sovrappopolazione mondiale. Ma questo è un  altro discorso; in ogni caso, poiché in generale non si costringe la  gente ad avere bambini, non vedo perché una donna dovrebbe esservi  costretta più di un prete che ha scelto il celibato.
Se una donna vuole abortire, penso che abbia il diritto  di poterlo fare senza restrizioni, almeno fino a 18 settimane dopo la  fecondazione; considerando poi la realtà sociale, penso che occorra fare  tutto il possibile perché questo sia facile e gratuito, almeno nei casi  in cui il costo dell'operazione costituirebbe un ostacolo5.
Spesso si oppone agli antiabortisti il semplice  argomento della libertà della donna. Questo non può bastare se non si  aggiunge appunto che l'embrione non ha degli interessi propri. Senza  questa precisazione, si tratta di una petizione di principio priva di  sostanza, allo stesso titolo della «libertà di mangiar carne» che ci  viene opposta quando mettiamo in luce gli interessi degli animali. E il  problema si pone effettivamente nel caso di un aborto in stato avanzato  di gravidanza, dal momento che nel corso della seconda metà della  gravidanza il feto ha acquisito una sensibilità e, con essa, almeno  l'interesse a non soffrire.
L'ideale sarebbe che, in questo caso, si prendano in  considerazione in ugual modo gli interessi della madre e quelli del  feto. In questo caso, non posso avere una posizione teorica altrettanto  netta di quella relativa alla prima metà della gravidanza, quando il  feto non è sensibile; senza entrare in particolari, e visto il carattere  piuttosto sommario degli interessi del feto, penso comunque che in  pratica la cosa migliore da fare sia di lasciare la decisione alla donna  convolta6.
Ciò che potrebbe essere fatto in ogni caso per tutelare  gli interessi del feto maturo è aver cura che non soffra durante  l'aborto. I paraocchi specisti – assunti tanto dagli antiabortisti che  dai loro oppositori – conducono a dispute intorno alla domanda assurda  se l'embrione è o no un essere umano. Secondo la risposta data, si  dichiarerà che la sua vita è sacra oppure al contrario gli si negherà  nel modo più assoluto una rilevanza morale. Gli uni e gli altri  tralasciano di prendere in considerazione quello che a mio avviso è  l'unico dato importante, ovvero gli interessi effettivi degli esseri che  ne hanno, e in special modo l'interesse eventuale dell'embrione a non  soffrire. Non sono abbastanza informato sulle tecniche di aborto per  poterne dire di più, ma mi sembra logico che tra le preoccupazioni della  liberazione animale ci sia quella di pesare sulla stessa bilancia gli  interessi dei feti umani maturi, anch'essi animali. (La facilità di  accesso ad un aborto precoce permette anche di ridurre il numero di  aborti tardivi, che sono tra l'altro più dolorosi per la donna).
Aborto e liberazione animale
La posizione antiabortista si basa spesso  sull'attribuzione all'embrione umano di una grande importanza, di una  inviolabilità, di un carattere sacro, semplicemente per via della sua appartenenza alla nostra specie. Ciò che gli avversari dell'aborto vogliono proteggere, è la vita umana, indipendentemente dal suo carattere sensibile. Queste posizioni sono all'opposto rispetto alla liberazione animale.
Come afferma Carol Adams7:
Lo specismo si esprime al suo più alto grado nella protesta sul destino del concepito umano, laddove il carattere sensibile di altri animali è dichiarato moralmente non significativo perché non sono umani. Certi antiabortisti definiscono la vita moralmente significativa in modo talmente largo che essa ingloba l'ovulo appena fertilizzato, e nello stesso tempo talmente ristretto che animali adulti con un sistema nervoso ben sviluppato ne sono esclusi.
Gli antiabortisti attribuiscono una grande importanza  alla fecondazione, che fissa l'identità genetica dell'essere. Così anche  i cattolici tradizionalisti, che condannano la contraccezione, non la  definiscono un omicidio, diversamente dall'aborto. Sembra che per gli  antiabortisti, l'essenza di un essere si trovi nella sua identità  genetica. Questa idea per me assurda – perché se il nostro genoma ci  determina lo fa allo stesso modo di un qualunque fattore ambientale, e  l'«innato» non ha uno statuto diverso dall'«acquisito» - è al centro del  razzismo, del sessismo e dello specismo. Certo, non si è  necessariamente razzisti, sessisti o specisti se si professa questa  idea; ma la liberazione animale può più facilmente farne a meno che  adattarvisi.
Non si può negare che ci sono delle persone che si  oppongono sia all'aborto che allo sfruttamento animale da parte degli  umani. La loro posizione mi sembra tuttavia andar contro corrente  rispetto alla logica della liberazione animale.
Notes :
1. «Anima, animus, animal», nei CA n°3 (aprile 1992), pp. 11 à 14.
2. Argomenti in favore della non sensibilità delle piante si trovano in Liberazione animale di Peter Singer (A. Mondadori editore, 1975, 1990), pp. 243-244, e nell'articolo di Yves Bonnardel, «Qualche riflessione in merito alla sensibilità che alcuni attribuiscono alle piante», nei CA n°5 (dicembre 1992), pp. 34 – 38.
3. L'animale è chiamato embrione tra il suo concepimento e la sua nascita in modo specifico all'inizio della gestazione (i primi tre mesi negli umani), e feto appena comincia a presentare una morfologia generale (testa, arti etc.) riconoscibile.
4.  Del resto, i gemelli omozigoti pongono un problema a coloro che  ritengono che l'embrione è un individuo umano fin dalla fecondazione:  non può esserci individuo a quello stadio, visto che  la divisione da cui nasceranno i gemelli avviene qualche giorno dopo la  fecondazione. In potenza, un embrione potrebbe essere diviso  all'infinito, se abortire fosse un omicidio per via della semplice  potenzialità, allora si tratterebbe di un'infinità di omicidi, il che  sembra abbastanza assurdo.
5. La legge francese autorizza l'aborto solo durante le prime dieci  settimane. Questa restrizione è assurda e, aggiunta ad altre, ha delle  conseguenze spesso gravi. Altri Paesi consentono un aborto più tardivo.
6.  Si può difendere l'idea che l'essere che non è cosciente della sua  esistenza nel tempo può avere un interesse a non soffrire ma non ad  essere ucciso. È quanto fa Peter Singer, in Liberazione animale cit., pp. 33-34, e in modo più sviluppato in Etica pratica (Liguori 1989). V. anche in questo numero dei CA l'articolo di Karin Karcher, «Les animaux, la mort, et l'acte de tuer», e, nel numero 4 (luglio 1992), pp. 5-12, Singer, «L'éthique appliquée».  La mia posizione è identica nelle conclusioni a quella di Singer, pur  partendo da un punto di vista teorico diverso (utilitarismo edonista).
7. «Anima, animus, animal», p. 13.
















