Come si è visto, la credenza che l’uomo sia l’unico animale che modifica il proprio ambiente è profondamente sbagliata, dato che tutti gli organismi viventi contribuiscono a modificare l’ambiente in cui vivono.
E allora, se quando modifichiamo la terra, in teoria, facciamo una cosa del tutto naturale, perché dovremmo preoccuparcene? Le nostre azioni sono davvero dannose? Non potrebbe essere che in realtà il pianeta, Gaia, sia in grado di garantire la stabilità nonostante tutto il nostro presunto inquinamento?
Dopotutto Gaia, cioè la vita sulla terra, esiste da miliardi di anni e nella sua storia è riuscita a superare brillantemente crisi anche molto gravi.
La prima grave forma di inquinamento planetario, ad esempio, è stata ad opera dei batteri che hanno inventato la fotosintesi e che hanno cominciato ad emettere nell’atmosfera ossigeno, un gas molto tossico che ha creato una crisi ambientale molto grave e messo in difficoltà gli altri organismi viventi.
Da questa crisi ambientale, però, si sono evoluti gli organismi respiratori di cui noi facciamo parte. Si può quindi affermare che, dal nostro punto di vista, la crisi planetaria legata alla comparsa dell’ossigeno, sia stata positiva.
Certo, verissimo. Ma andatelo a dire a tutte quelle specie che rimasero uccise per intossicazione da ossigeno.
Il punto è proprio questo: l’umanità ha proliferato in un certo tipo di configurazione stabile di Gaia, non è detto però che possa trovarsi così perfettamente a suo agio in altre configurazioni, altrettanto stabili, ma diverse!
La teoria di Gaia mostra come l’attività degli esseri umani stia portando gli attuali sistemi di regolazione delle caratteristiche chimico-fisiche della terra oltre i limiti della configurazione da noi conosciuta, e il problema più grave è dato dal fatto che solitamente, nei sistemi complessi, le transizioni tra diverse configurazioni stabili avvengono in modo caotico, non in modo lineare come ci si potrebbe ingenuamente aspettare.
Ma in quale modo gli esseri umani stanno forzando i meccanismi di regolazione della terra?
Innanzi tutto, bisogna dire che l’inquinamento è sempre dato dalla quantità.
In natura infatti non esiste inquinamento: il letame prodotto da un bovino al pascolo alimenta e nutre le piante. Il letame prodotto da 100 bovini allevati in un campo troppo piccolo, però, rappresenta un vero e proprio inquinamento e distrugge l’erba di cui gli animali si nutrono.
Il più grande danno che arrechiamo alla terra (e dunque la più grande minaccia alla nostra sopravvivenza), è probabilmente costituito dall’agricoltura.
Tra non molto, avremo sostituito più di due terzi degli ecosistemi naturali terrestri con sistemi agricoli, e quando si sostituiscono le foreste naturali con coltivazioni o allevamenti di bestiame, si diminuisce notevolmente la capacità della superficie terrestre di controllare il proprio clima e i processi chimici.
Gli ecosistemi umani con cui si sostituiscono quelli naturali (terreni agricoli e territori urbani), sono vantaggiosi per noi, ma si rivelano pesantemente inefficienti per la regolazione di Gaia.
Qualunque tipo di organismo, infatti, per il fatto stesso di esistere, tende ad allontanare Gaia dal suo attuale equilibrio. Tutti gli organismi hanno un metabolismo che di per sé creerebbe situazioni di squilibrio. Un pianeta monocultura (e l’agricoltura moderna tende verso questa direzione), è quindi un esperimento mentale che non ha possibilità di esistere nella realtà.
Certamente, come succede con tutti i sistemi viventi, c’è molta sovrabbondanza e molte cose si possono distruggere e sostituire con ecosistemi produttivi (in termini umani), ma inefficienti (per Gaia) senza eccessive perdite; e tuttavia quella sovrabbondanza di Gaia non è un lusso, perché serve a far fronte a sollecitazioni anomale.
Tutti noi possiamo cavarcela con un solo rene, ma sarebbe imprudente toglierne uno e venderlo se si deve attraversare il deserto a piedi, affrontando lo stress della disidratazione.
La foresta tropicale mantiene fresca e umida la propria regione; facendo evaporare immense quantità di acqua mantiene una copertura bianca di nubi che riflettono la luce solare e portano la pioggia, contribuendo così al raffreddamento dell’intero pianeta.
L’esempio più noto delle conseguenze della deforestazione è quello di Harrapan, nel Pakistan occidentale. Un tempo la regione era coperta di foreste e soggetta ad abbondanti piogge durante la stagione dei monsoni: un ottimo esempio di ecosistema forestale autosufficiente.
La foresta fu gradualmente abbattuta per fare posto a nuovi pascoli e nuovi campi.
Le precipitazioni nella regione continuarono finché più della metà delle foreste non fu abbattuta, dopodichè la regione divenne improvvisamente arida e anche la foresta restante scomparve.
Adesso la regione è talmente arida che, come semideserto, può mantenere soltanto una piccola percentuale degli abitanti e degli altri organismi che un tempo vi vivevano. E tutta la Terra è un pochino più calda.
In realtà, nessuna delle agonie ambientali a cui stiamo assistendo avrebbe assunto dimensioni percepibili se al mondo ci fossero solo 50 milioni di esseri umani e anche se ce ne fossero un miliardo, questi problemi sarebbero conte-nibili. La popolazione mondiale, però, si stabilizzerà su un numero vicino ai 10 miliardi e non c’è più molto tempo per rendersi conto che l’umanità sta andando incontro a rischi molto grossi se non capirà che la natura non è solamente una fonte di risorse e materia di esclusivo valore economico.
Quello che è certo è che non è Gaia ad essere in pericolo.
E neanche la specie umana rischia più di tanto anche se si verificassero le previsioni peggiori sui cambiamenti climatici per i prossimi decenni. Lo stesso non si può dire però per la società così come la intendiamo: sconvolgimenti climatici bruschi (Abrupt Climate Change, o ACC), di cui si parla recentemente, con conseguente innalzamento di diversi metri degli oceani, possono significarne la fine.
Per concludere con parole di Lovelock:
"L'essere umano è sul pianeta da almeno un milione di anni, perché dovrebbe estinguersi proprio ora? Le singole civiltà sono invece più fragili. Negli ultimi 5000 anni sono una trentina circa quelle scomparse che hanno lasciato solo ossa, pezzi d'artigianato o scritti dietro di sé. Per questo non c'è nessun motivo di pensare che la nostra civiltà sia imperitura. Unica consolazione: malgrado quello che vediamo oggi, l'intelligenza media dell'uomo aumenta con il passare dei secoli".
Sarà vero?!
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