martedì 31 luglio 2012

DISEGNARE FIORI PIU' GRANDI DEI RE

 DISEGNARE FIORI + GRANDI DEI RE

QUANDO GLI CHIESERO DA DOVE GLI FOSSE VENUTA L'IDEA DI
CREARE LA ESCUELA MODERNA FRANCISCO FERRER RISPOSE:
«SEMPLICEMENTE DALLA SCUOLA DELLA MIA INFANZIA,
FACENDO PERÒ ESATTAMENTE TUTTO IL CONTRARIO»

“L'autorità? Ecco il maestro manesco e pedante
soffocatore di intelligenze e sfornatore di anime con le
eccessive anticipazioni, con l’Ipse dixit, con le
catechetiche interrogazioni, con la scuola della
delazione e della finzione.”
Camillo Berneri

L’anarchismo mira alla critica e alla dissoluzione di ogni dominio e autorità intesi come
rapporto gerarchico e di subordinazione tra individui, non solo tra governati e governanti e tra
classi sociali diverse, ma in ogni situazione, dunque anche nella relazione pedagogica: questo è
il vero e unico elemento comune e unificante della tradizione libertaria e anarchica1.
La pedagogia è una delle tematiche ritenute più importanti in ambito libertario e spesso fonte
di discussione. Non di rado, la parola pedagogia è stata utilizzata per giustificare sistemi
educativi autoritari e repressivi, che impediscono al fanciullo di strutturare le proprie
conoscenze in funzione dei propri bisogni, desideri e delle proprie capacità fisiche ed
intellettive.
I libertari, al contrario, attribuiscono alla pedagogia una valenza positiva, soprattutto perché
i bambini, con le loro domande, tendono a mettere tutto in discussione (...cosa c’è di più
libertario che respingere verità preconfezionate e porsi in continuazione domande,
proprio come fanno i bambini?). Molte idee della tradizione libertaria, sono diventate parte
del tessuto del senso comune pedagogico, talvolta però perdendo le caratteristiche e le finalità
per cui si erano sviluppate; altre volte facendo da lievito a delle sperimentazioni educative. La
pedagogia libertaria, nelle sue diverse declinazioni, può arrivare a mettere in discussione la
questione dell’educazione e la stessa pedagogia. Se intendiamo per pedagogia una disciplina
che si occupa in specifico di teoria dell’educazione: la pedagogia libertaria vuole in primo
luogo sottrarre l’educazione agli esperti, rimuovere gli steccati disciplinari e proporre
modelli educativi che hanno una forte valenza, al tempo stesso sociale e politica,
radicalmente antigerarchica e rivoluzionaria .

LA PEDAGOGIA LIBERTARIA
La pedagogia libertaria muove dalla critica delle strutture di potere presenti sia nelle relazioni
macrosociali (L’ Autorità), che in quelle microsociali (un’autorità), per poi giungere a una
pratica
finalizzata al mutamento sociale in senso antiautoritario.
L’educazione libertaria è consapevolmente ed essenzialmente fallibilista e contingente.
Fallibilista perché vuol educare al dubbio, in primo luogo sull’educazione e sull’educatore stesso
e sui suoi metodi; poi perché sa che l’errore è una risorsa auto educativa straordinaria2.
Non vi è libertà se non vi è libertà di errore (Errico Malatesta).
La proposta è quella di un modello educativo aperto, autocritico e antidogmatico. Il fine è il
libero sviluppo dell’autonomia ( e di conseguenza dell’autoeducazione degli individui), di una coscienza critica che sappia analizzare le strutture di dominio e, last but not least, la
trasformazione sociale.
La pedagogia libertaria si orienta eminentemente secondo due modelli, espressione di due
differenti concezioni della “natura umana”:
· negativo (naturale): Compito precipuo dell’educatore è l’osservazione. L’intervento
dell’educatore è ridotto al minimo, in quanto si configurerebbe come elemento di
coercizione rispetto al libero sviluppo verso la libertà. → individualismo

La natura umana ha carattere positivo ed è quindi “naturalmente” orientata alla
libertà.
· positivo (formativo-costruttivo): Compito precipuo dell’educatore è quello di essere
esempio, guida e sostegno. Importanza dell’influenza ambientale sullo sviluppo del
bambino, ruolo centrale della comunità educativa entro cui coltivare le potenzialità di un
individuo. → collettivismo

La natura umana non ha in sé un carattere positivo/negativo, ma viene influenzata
dall’ambiente circostante.

QUALE SCUOLA?3
Vorrei cominciare parlando di scuola pubblica e scuola statale. Per me sono due concetti
completamente diversi anche se l'una e l'altra oggi, in buona parte, si sovrappongono e
nell'immaginario collettivo sono poi la stessa cosa. La scuola pubblica dovrebbe essere
l'insieme delle strutture, degli strumenti, delle iniziative, dell'organizzazione che una società di
liberi e di eguali, senza sfruttamento né oppressione, improntata su una giustizia sociale
assoluta, si dà per provvedere ad una parte dell'educazione e dell'istruzione dei propri membri,
di tutti i membri: bambini, ragazzi, adulti, maschi e femmine. Dico "provvedere a una parte"
perché è auspicabile e inevitabile che "istruzione e educazione" si costruiscano attraverso
numerosi canali. "Scuola pubblica" è pertanto un’espressione linguistica ricca di contenuti sulla
quale oggi si può e si deve ragionare, che va perseguita, ma la cui realizzazione e definizione
procederanno di pari passo con l'emergere e l'affermarsi di una società diversa dall'attuale. A
mio parere, sono evidenti almeno due cose: come sarà questa scuola lo potranno decidere
soltanto coloro che la utilizzeranno e, in secondo luogo, che si tratterà comunque di una
struttura e un'organizzazione molto articolate e in continua evoluzione.
La scuola di stato è evidentemente un'altra cosa, è quella che abbiamo conosciuto e
conosciamo. E' una parte della "istituzione stato", particolarmente deputata al
mantenimento del potere, dell'oppressione, dell'esistente, tutt'al più chiamata a farsi carico di cambiamenti che siano voluti dalle classi dominanti, che siano cioè
funzionali al mantenimento del potere: in quanto tale, va combattuta e demolita. […]
Si insegna non per far emergere in ciascuno quel che ciascuno ha di positivo dentro
di sé, ma per immettere idee precostituite nell'individuo, per fare ciascuno più o
meno uguale a tutti gli altri, piatto e smorto, pronto all'obbedienza e alla passività.
Basterebbe vedere quali sono i contenuti di discipline come storia, geografia, italiano per
rendersi conto di quanto il potere ci tenga a che siano veicolati nelle giovani generazioni
concetti e idee funzionali al dominio. Basterebbe scorrere la maggioranza dei libri di testo che
gran parte dei docenti segue pedissequamente, come e forse peggio di quanto si faceva
quarant'anni fa , identificando ancora il programma da svolgere con le trecento o le
cinquecento pagine del testo in adozione, per rendersi conto di quello che viene trasmesso ai
discenti. Non sono pochi, ad esempio, i libri di storia delle medie inferiori che tuttora rifilano la
tiritera dei sette re di Roma mal dissimulandone la natura leggendaria. Sono assai diffusi libri
che con immagini appropriate e apertamente, o subdolamente fra le righe, esaltano il
fascismo. Introvabili invece, ma può darsi che io sia male informato o tanto di parte da non
vedere bene, testi in cui la visione della storia non sia, non dico non eurocentrica, ma almeno
un po' meno cieca rispetto alle vicende dei popoli di altri continenti. Si trasmettono quindi
contenuti che rispecchiano la cultura dominante, ovviamente in una strutturazione
adeguata alla formazione di individui destinati ad essere dominati o sicuri anelli della
catena di trasmissione fra dominatori e subalterni. La questione dell'eurocentrismo cui
ho accennato basterebbe da sola a fare da esempio di quel che ho detto, attraversando fra
l'altro diverse discipline oggetto di insegnamento nella scuola. Ma si potrebbero citare anche le
idee che vengono trasmesse sulla questione ambientale, sull'inquinamento, sul razzismo, sulla
guerra, sul militarismo; le idee che vengono inculcate sulla struttura gerarchica della
società facendola apparire come inevitabile, indispensabile, in fondo il meglio che si
possa avere, anzi l'unica possibile; le idee sulla religione. Dico idee. Più esattamente
dovrei parlare di acquisizione di uno schema mentale in cui, alla fine dei conti, posto
per idee vere e proprie e senso critico, senza il quale, io credo, non si può parlare di
idee e di pensiero, ce n'è poco. Si fa questo anche se si dice di fare il contrario. Raramente
si trova un docente che non affermi l'uguaglianza degli individui e la necessità della solidarietà
quando poi, nella realtà, fomenta fra i propri alunni egoismo ed arrivismo attraverso voti ed
altri strumenti; in merito alla solidarietà la si confonde in pieno con la carità. Meno raramente
di quel che si creda, si trovano docenti per i quali mettere l'Europa e la nostra "civiltà" al
centro dell'attenzione è obbligatorio e indiscutibile. […]
Si può dire altro e lavorare con contenuti diametralmente opposti a quelli comunemente in
uso: in tutte le discipline, ma soprattutto in alcune, come storia, geografia, educazione civica,
letteratura, diritto, economia, storia dell'arte, musica, educazione fisica. Si possono dare al
lavoro di docente contenuti rivoluzionari anche dietro l'apparenza della normalità. In un corso
di storia, a qualunque livello di scuola, si può trattare delle condizioni di vita e del
pensiero delle classi subalterne. Delle genti dimenticate nella storia ufficiale
possiamo vedere il modo di nutrirsi, di vestire, le abitazioni, le credenze, la cultura, i
contrasti con le classi dominanti, le organizzazioni che si sono date, siano esse state
di resistenza, di lotta o d'altra natura. […]
Avete mai pensato a che cosa si potrebbe dire parlando delle città medioevali?
Le città medioevali ce le hanno sempre mostrate come città da favola: cattedrali, palazzi,
ricche vesti, corti signorili. Citando ancora Brecht: quanti operai morirono nella costruzione
della cattedrale di Santa Maria del Fiore, a Firenze?
Quanto le risorse e le energie spese per quell'opera avrebbero potuto essere impiegate
diversamente e alleviare le condizioni di vita dei poveri? Chi costruì i palazzi? A che età
morivano gli operai addetti alla tintura delle vesti, alla cardatura, alla follatura nelle botteghe
artigiane della Firenze del '300? Le città da favola non erano certo la realtà delle classi
subalterne (lo erano in quanto struttura opprimente), erano la realtà delle classi ricche, di una
minoranza. Avendo presenti anche correnti storiografiche di grande interesse, che hanno
messo in evidenza una storia fatta della vita concreta di ogni giorno evitando di privilegiare la
storia fatta studiando gli archivi diplomatici e basta, si può mostrare la città medioevale
nella sua realtà: la vita dei poveri, dei malati, degli emarginati, degli operai delle
botteghe artigiane, dei servi, dei contadini. Come si vestivano, che cosa mangiavano
e quanto mangiavano, come si divertivano, quanti bambini nascevano e quanti morivano di stenti, che ruolo aveva la donna. E poi i colori della città, la puzza, i rumori
(non erano quelli di oggi, forse erano meno dannosi), la sporcizia.
La città non aveva un aspetto da favola, ma era in buona parte un ammasso
maleodorante di vicoli (e forse meno disordinata ed opprimente delle città odierne).
Che svantaggi comportava questo assetto? E quali vantaggi in termini di "vicinanza",
solidarietà, amicizia, fraternità? Gli allievi si appassionano alla storia sviluppata così, piace loro
perché la vedono concreta, vera, avvincente. […]
Un alunno che per molte ore al giorno, per più anni, siede su un banco fra il chiuso di
quattro mura senza quasi potersi muovere, con poche possibilità di discutere, potrà
anche chiudere le proprie orecchie agli eventuali contenuti ma sarà comunque
marchiato e plasmato in un certo modo: sarà portato alla passività, sarà amorfo, avrà
in mente modelli chiusi e gerarchici, non sarà capace di trasgressioni e rotture in
positivo.
Nella scuola odierna l'autoritarismo è l'essenza, la gerarchia è imperante, la repressione
dell'iniziativa individuale e spontanea è all'ordine del giorno, spazi per la creatività non ve ne
sono. Si sta chiusi, si sta seduti, si ascolta, si parla poco, si ripete quando ci è richiesto, molto
spesso quando ci è richiesto di ragionare in realtà ci è richiesto di ripetere ragionamenti altrui,
"alzate di ingegno" sono accettabili soltanto se nell'ambito del codificato e del riconosciuto, si è
chiamati a partecipare solo formalmente e raramente la partecipazione assume i connotati
dell'attività realmente costruttiva basata su proprie idee e atteggiamenti. Credo che queste
cose tutti le conoscano, sia coloro che sono stati studenti, sia chi è genitore di studenti. Si va a
scuola in spazi ristretti, costretti da orari e meccanismi indiscutibili, normalmente il professore
spiega la lezione, poi fa ripetere, interroga, mette i voti o i giudizi, rispiega se è il caso; il
ruolo dello studente è di passività. Il professore, senza parlare dei presidi, è in una
posizione gerarchica superiore, che lo si voglia o no; sta dall'altra parte, spesso somiglia più a
un giudice che a un docente. Il senso della gerarchia e dell'arrivismo è spesso inculcato
fra gli studenti da quei docenti che soffiano sul fuoco della differenza, che puntano
sui più “bravi”, che li favoriscono, che li mettono al proprio fianco contro i "peggiori",
che creano una piccola élite all'interno della classe per governarla meglio. Sovente
poi i tentativi di cambiare metodologia sono più apparenti che reali. CORPI
La scuola imprigiona i bambini fisicamente,
intellettualmente e moralmente, per dirigere lo sviluppo
delle loro facoltà in una direzione prefissata. Essa li
priva del contatto con la natura per poterli meglio
modellare a suo piacimento (…) L’educazione
attualmente non è altro che un addestramento.
Francisco Ferrer y Guardia
“Che cosa ne è dei corpi a scuola? Che posto ha l’addestramento dei corpi nell’ambito
dell’educazione?
Ciò che si vuole ottenere, e si sa impossibile, è la completa immobilità, al limite del rigor
mortis. Che i corpi degli studenti possano diventare invisibili, affinché si possa liberamente
parlare alle loro giovani e duttili anime ed educarle. Potrebbero essere morti, ci si
accontenterebbe di fantasmi, purché studiosi e capaci di emettere deboli eco che si possano
udire e valutare.
Questa rigidità, questa limitazione dei movimenti, viene ottenuta attraverso un addestramento
dei corpi che dura anni.
Il primo presupposto di fondo è che, crescendo, i corpi debbano rallentare, fermarsi e al limite
annullarsi affinchè si possano compiere operazioni intellettuali più sofisticate: dalla scuola di
infanzia fino all’università si può seguire il percorso dell’istruzione formale come un percorso
che progressivamente rinuncia al corpo come centro del nostro essere al mondo e come
strumento di
apprendimento.
Nella scuola attuale questo inchiodamento al banco ha raggiunto una soglia quantitativa
insuperabile: alcuni studenti restano a scuola per 38-40 ore la settimana, costretti a stare
seduti nei banchi. Ci sono patologie fisiche e funzionali che derivano da questa costrizione, ma
anche l’apprendimento di sistemi di scorporamento, scissione e fuga che parcellizzano l’unità
psicofisica umana e mutilano l’attività comunicativa interpersonale degli esseri umani.
Se il corpo è apertura al mondo, il trattamento disciplinare che esso subisce a scuola
è coerente con la chiusura della scuola rispetto al mondo: luogo separato dal mondo,
non ha bisogno di corpi, ma solo di menti docili.
La costrizione del corpo ha una molteplicità di conseguenze: la mortificazione sensoriale, che
rende incapaci di gustare in modo ricco l’ambiente in cui si vive; il ripiegamento su di sé, nel
senso di una riduzione delle capacità progettuali, dei progetti sul mondo; la limitazione
comunicativa nei rapporti interpersonali; la dissociazione funzionale, che specializza parti del
corpo piegandole alle esigenze sociali. […]
Sentirsi bene nel proprio corpo, sentire scorrere in sé liberamente l’energia vitale, è una
condizione essenziale per vivere pienamente, e proprio per questo le istituzioni pedagogiche
modellano i flussi energetici e li rendono funzionali a modelli stereotipati, omogenei e
controllabili.”

AUTORITÀ COERCITIVA E AUTORITÀ ANONIMA
L’autorità coercitiva è esercitata apertamente ed esplicitamente. Chi possiede l’autorità
comanda senza ambiguità su chi gli è soggetto: “Devi fare questo. Se non lo fai, nei tuoi
confronti verranno applicate certe sanzioni”.
L’autorità anonima invece tende a celare l’uso della forza, sostenendo che non vi è alcuna
autorità
e che ogni cosa viene fatta con il consenso dell’individuo. Mentre una volta l’insegnante diceva
all’allievo: “Tu devi fare questo. Altrimenti sarai punito”, oggi dice: “Sono certo che ti
piacerà farlo”.
In questo caso la vera sanzione non è la punizione corporale, ma l’espressione dispiaciuta dei
genitori, o peggio ancora la convinzione di essere considerati estranei o di non agire come la
maggioranza. Nel primo caso s’impiega la forza, nel secondo la manipolazione
psichica.
Il passaggio da un’autorità coercitiva, in voga nel secolo scorso, all’autorità anonima
del secolo attuale è dovuta alle necessità organizzative della società industriale
moderna. L’accumulazione del capitale ha determinato la formazione di imprese giganti
dirette da burocrazie organizzate gerarchicamente. Grandi masse di operai ed impiegati
lavorano insieme, e ogni individuo è parte di una macchina produttiva organizzata in ogni
dettaglio che per funzionare deve scorrere liscia e senza intralci. L’operaio è solo un
ingranaggio della macchina. In una organizzazione di questo tipo l’individuo viene
costantemente diretto e manipolato.
Anche la sfera dei consumi (nella quale l’individuo esprime la sua libera scelta) viene
controllata, diretta e manipolata in maniera analoga. In ogni acquisto, si tratti di cibo, abiti,
liquori, sigarette, si è sottoposti all’azione di un poderoso apparato di suggestione che agisce
con due scopi: da una parte, far sorgere continuamente nuovi bisogni nell’individuo e dall’altra
indirizzare questi bisogni nei canali che offrono all’industria i profitti più elevati.
L’uomo viene trasformato in consumatore, in un eterno lattante, il cui unico desiderio è di
consumare una maggiore quantità di cose “migliori”.[…]
L’autorità non è scomparsa, né ha perso alcunché della sua forza, ma si è
trasformata nell’autorità anonima della persuasione e della suggestione.
In altre parole per adattarsi l’uomo moderno ha bisogno di illudersi che tutto venga fatto con il
suo consenso e di non rendersi conto di come il consenso gli venga strappato con un sottile
processo di manipolazione. Il consenso gli viene estorto a livello inconscio, dietro le sue spalle.
Nell’educazione progressista impiegano gli stessi artifici. Il fanciullo è costretto ad inghiottire la
pillola, ma stavolta ricoperta da un sottile strato di zucchero. I genitori e gli educatori
hanno confuso l’autentica educazione non autoritaria con l’educazione mediante la
persuasione e la coercizione occulta. L’educazione progressista viene così svuotata di
significato. Fallisce nel suo scopo, non essendo mai riuscita a diventare quel che voleva essere
e non essendo mai giunta al punto dove voleva giungere

PEDAGOGIA NERA
La violenza nell’educazione non è ancora considerata
propriamente come un maltrattamento del bambino,
perché ancora per lo più si nega la sofferenza del
bambino “picchiato per il suo bene”. Si negano le
conseguenze gravi di questi maltrattamenti. Si parla
piuttosto di una correzione che ci ha rafforzato
[…]Oggi non conosco nessuno che mi direbbe che
bisogna maltrattare i bambini. Tuttavia mi si dice,
quasi ovunque, che le sculacciate sono necessarie.
Alice Miller
L’espressione pedagogia nera (poisonous pedagogy) è stata introdotta dalla psicoterapeuta
Alice Miller per indicare una serie di teorie e pratiche implicite ed esplicite assai diffuse che si
basano sulla violenza e sulla sofferenza del bambino come strumenti essenziali della sua
educazione e della sua crescita. Pedagogia nera è la pedagogia della violenza, che
produce e perpetua violenza.
Alcuni dei principi impliciti della pedagogia nera:
· gli adulti sono padroni dei bambini che da loro dipendono
· gli adulti decidono cosa sia giusto/ingiusto senza consultare il bambino
· i genitori vanno sempre difesi
· i genitori, in quanto tali, meritano rispetto a priori
· l’obbedienza fortifica
· la tenerezza è dannosa
· la severità e la freddezza costituiscono una adeguata preparazione per la vita
Questi atteggiamenti e condotte producono nel bambino annullamento e disprezzo di se
stesso, e mancanza di autonomia. Il bambino impara presto che deve ammaestrare e poi
negare i suoi desideri, bisogni, sentimenti, pulsioni, in cambio dell’assenso degli adulti.

PUEROCENTRISMO
L’educazione libertaria è puerocentrica: centrale è il bambino, non l’adulto (né la visione
che l’adulto ha del bambino!). Nodi fondamentali e imprescindibili sono il rispetto e la dignità
del bambino e il rispetto e la dignità delle differenze.
In una metodologia di questo tipo, non trovano spazio: punizioni, autoritarismo, coercizione,
paternalismo, unilateralità, gerontocrazia!
“Per imparare a curare diversamente i bambini, è necessario innanzi tutto che gli adulti
cambino. È l’adulto egocentrico quello che vede tutta la vita del bambino in rapporto a se
stesso, che considera il bambino un essere vuoto da riempire.”6

SCUOLACENTRISMO E DESCOLARIZZAZIONE
Considerare la pedagogia libertaria nell’ambito ristretto
della scuola è senza dubbio un’imperdonabile
limitazione dell’orizzonte.” Una “educazione libertaria
potrebbe essere vista anche come una proposta di esodo
dalla scuola.
Filippo Trasatti
Descolarizzazione è un termine utilizzato da Ivan Illich, che con esso intendeva lo
smantellamento del sistema d’istruzione statale e l'eliminazione dalla società di ogni tipo di
educazione formale.
La scuola, nell'opinione di Illich, è al servizio di interessi particolaristici (soprattutto
economici) ed svolge funzioni di controllo sociale. In quanto istituzione che ha
eminentemente compiti di selezione sociale e di custodia, finisce con l'essere essenzialmente
antieducativa e produce una serie di mali quali l'indottrinamento, la competizione, il rispetto
delle apparenze e dei rituali.
Illich, quindi, propone di sostituire il sistema scolastico con una rete di risorse e di personale
educativo, cui gli individui possano rivolgersi liberamente in relazione ai propri bisogni e
interessi. La descolarizzazione non è, dunque, la mera proposta di abolire tout-court la scuola,
ma piuttosto di una radicale de-istituzionalizzazione dell’educazione.
Pur nella molteplicità delle sue manifestazioni, la scuola ha una forma (“La forma scuola”),
una serie di caratteristiche che la rendono ovunque simile. Nella sua fenomenologia della
scuola, Illich propone di considerarla come un’istituzione che si basa principalmente su 3
fattori:
· la segregazione in base all’età dei discenti
· l’assoggettamento dei discenti a professionisti che detengono il monopolio
dell’educazione
· la frequenza obbligatoria
Ci sono inoltre alcuni dogmi su cui si fonda la scolarizzazione:
· che il vero apprendimento si abbia all’interno della scuolache i migliori trasmettitori di
conoscenze siano gli insegnanti con adeguati titoli professionali
· che il sapere consista in una serie di contenuti graduati secondo le indicazioni degli
esperti delle discipline
· che la scuola fornisca un sapere critico
· che la scuola sia uno strumento di liberazione degli oppressi
· che essa sia una microsocietà che consente di prepararsi alla vita sociale
Contro questi dogmi, Ivan Illich sostiene che, al contrario:
· il vero apprendimento significativo è quello informale, incidentale, casuale, che
suscita sorpresa
· il monopolio del sapere detenuto dagli insegnanti e dalle scuole non serve a
migliorare la trasmissione del sapere, ma a garantire i privilegi di una casta e
il sistema gerarchico di potere
· se si vogliono educare gli individui alla critica bisogna che possano scegliere ciò che li
interessa e che desiderano studiare

· investimenti significativi nei Paesi ricchi non hanno portato a significativi mutamenti
sociali, ma hanno riprodotto la struttura sociale, creando anzi una nuova povertà
legata all’assenza di istruzione certificata
· la scuola è sì una preparazione alla società, ma nel senso di una
predisposizione a una cittadinanza passiva di consumatori disciplinati,
ingannati dal mito dello sviluppo illimitato.
Al di là delle intenzioni anche buone di educatori e riformatori, la scuola obbligatoria, come
altre istituzioni totali, produce sempre alcuni importanti effetti negativi che hanno come
risultato la riproduzione del sistema sociale: insegna a misurare e a quantificare, non solo
il sapere, ma anche se stessi, sulla base di parametri burocratici; produce non il
bisogno di sapere, ma di altra scuola; insegna a integrarsi nel sistema mercantile; insegna a
subordinarsi agli esperti e alla pianificazione istituzionale; prepara l’uomo per un mondo
programmato. La scuola insomma sarebbe il principale meccanismo di conservazione
sociale e di riproduzione della società mercantile.
La descolarizzazione va compresa come tramite per un radicale mutamento sociale che
trasformi le istituzioni manipolatrici in istituzioni conviviali. Sfondo di questo mutamento è la
creazione di un nuovo tipo di rapporto creativo tra l’uomo e il suo ambiente: liberare
l’apprendimento dalla scuola significa moltiplicare le occasioni di apprendimento nel
rapporto con le cose, con la città, con le altre persone, creare quelle che Illich chiama le
“trame dell’apprendimento
Perché questo possa avvenire devono cambiare contemporaneamente la struttura e
la qualità della vita quotidiana, il rapporto tra lavoro e tempo libero, ma anche il
sistema di produzione e consumo. Insomma la proposta di Illich non può essere
banalmente ridotta alla chiusura delle scuole, ma indica un processo complessivo di
trasformazione sociale in direzione della convivialità nel quale è essenziale il processo auto
educativo della comunità, contro ogni tentativo di imporre dall’alto metodi, finalità, strutture
coatte dell’educazione.7
Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a
confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una
nuova logica: quanto maggiore è l'applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole,
l'escalation porta al successo. In questo modo si «scolarizza» l'allievo a confondere
insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di
parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si «scolarizza» la sua immaginazione ad accettare
il servizio al posto del valore

DALLA TEORIA ALLA PRATICA
Jasnaja Polyana
L’unico metodo di istruzione è nell’esperimento e l’unico
criterio pedagogico è la libertà L. Tolstoj
Ogni studio deve rappresentare solo una risposta alle
domande suscitate dalla vita. La scuola però non solo
non stimola le domande, ma non risponde neppure a
quelle sollevate spontaneamente. La scuola risponde
continuamente alle stesse domande, poste alcuni secoli
fa all’umanità e con le quali il fanciullo non ha niente a
che fare.L. Tolstoj
Lo scrittore russo Lev Tolstoj nel 1859 dà vita all’esperienza di Jasnaja Polyana (“radura
chiara e serena”), una scuola di campagna gratuita per i figli dei contadini, in cui lo
scrittore anarchico si cimenta in prima persona come maestro.
In seguito all’osservazione delle esperienze scolastiche tradizionali e della “tristezza
generale degli alunni” (!), sviluppa una riflessione che lo porta a ritenere la scuola uno
strumento che uccide la vita, e con essa le domande fondamentali che suscitano il bisogno
dell’educazione. Nelle istituzioni scolastiche, al contrario, si attua un’opera di repressione
delle facoltà umane più elevate al fine di sviluppare unicamente l’ordine scolastico, il
terrore, lo sforzo della memoria e l’attenzione. Fino a che questi obiettivi non siano stati
perfettamente raggiunti, ogni alunno costituisce un’anomalia da correggere (=da
scolarizzare).
Caratteristiche principali della pratica pedagogica di Jasnaja Polyana:
· diritti dei bambini
· ascolto delle esigenze del discente
· parità maestro/studenti
· assenza di coercizione
· assenza di programmi
· assenza di orari
· niente esami
· assenza di obbligo scolastico
· nessuna divisione dei bambini in fasce d’età
· importanza del ruolo dell’insegnante come facilitatore dei processi di
apprendimento (processi che comunque rispondono all’interesse e alle
motivazioni del singolo allievo)
Breve catechismo per i maestri (!) di Lev Tolstoj diffondila!!!
1. È necessaria per insegnare l’adesione volontaria dell’allievo? Sì e per far questo è necessario
suscitare l’interesse vivo dell’allievo, guadagnarlo cioè a ciò che si ha da dire.
2. Come e che cosa si deve insegnare? Tutto può essere insegnato, ma al centro
dell’insegnamento sta l’allievo con i suoi bisogni, i suoi ritmi e le sue capacità.
3. Maestro non è colui che sa, ma colui che ama ciò che fa con i suoi allievi.

Summerhill
Scuola fondata da Alexander Neill a Suffolk (Inghilterra) nel 1924 (e tuttora attiva). Neill parte
dall’idea che l’aggressività, l’infelicità e il dolore del bambino siano frutto dell’educazione
autoritaria e repressiva. Al fine di dirigere l’educazione verso una socialità responsabile, è
dunque fondamentale che il bambino sia inserito in una società-comunità basata sul
principio dell’autodeterminazione.
Alcune delle pratiche educative messe in atto a Summerhill:
· lasciare, all’interno della comunità protetta della scuola, che il bambino sperimenti
la libertà (di movimento, di giocare, di dare ascolto o meno ai consigli degli adulti, di
seguire o meno il programma di studi proposto dalla scuola)
· far sì che i bambini comprendano l’importanza della responsabilità, senza che a tal fine
vengano però predisposti punizioni, interventi censori o coercitivi da parte degli adulti
· organi decisionali collettivi (Tribunale e Assemblea generale) formati da adulti e
bambini, con procedure paritarie
· assenza di interventi coercitivi e impositivi sui bambini da parte degli adulti
· assenza dell’obbligo di frequenza
· non giudizio
Sito web della Summerhill School: http://www.summerhillschool.co.uk/
Il Liceo Sperimentale di Saint-Nazaire
Esperienza scolastica che nasce in Francia nel 1982, a opera di studenti e professori, mossi
dall’idea che la scuola debba essere finalizzata alla libertà degli studenti, e non alla
loro reclusione.
Principi fondamentali e pratiche del Liceo sono:
· autodeterminazione di ogni studente relativamente alla propria formazione
· continua pratica di confronto e di mutuo sostegno della comunità scolastica
· riconoscimento del principio dell’educabilità (possibilità di trasformazione attraverso il
confronto)
· diritto di ciascuno all’esperienza e dunque al poter procedere per tentativi ed
errori
· responsabilità e autonomia di ognuno
· riconoscimento delle potenzialità di ognuno (non solo nei campi in cui abitualmente
viene relegato l’ambito del sapere scolastico)
· diritto di ciascuno a costruire il proprio cammino (l’importante non è tanto
l’obiettivo quanto il percorso)
· cogestione: tutte le questioni politiche, economiche e amministrative sono discusse
all’interno di due assemblee (quella degli studenti e quella degli insegnanti) e poi portate al Consiglio di Istituto. Le decisioni vengono solitamente prese all’unanimità. I
delegati delle due assemblee cambiano ogni anno. La popolazione del liceo viene divisa
in sei gruppi (composti da 20/30 studenti e 3/4 educatori). Ciascun gruppo gestisce il
liceo (contabilità, segreteria, igiene, manutenzione, preparazione pasti, agibilità dei
laboratori) a turno per 15 giorni.
· cogestione pedagogica: la scelta degli argomenti da trattare e dei metodi da
impiegare viene maturata all’interno del gruppo. In un secondo momento ci si divide in
sottogruppi, a seconda dell’argomento prescelto, e in questi gruppi di livello si
definiscono le pratiche concrete.
Chi desidera venirci a trovare per un’ora, un giorno, una settimana, un mese, insomma chi
vuol visitare il nostro strano liceo può contattare il comitato di gestione al numero
telefonico 0033240667852, oppure scriverci a questo indirizzo Lycée expérimental de
Saint-Nazaire, 17 boulevard René Coty, BP 272,44606 Saint-Nazaire Cedex, Francia
Sito web del Lycée Expérimental de Saint-Nazaire:
http://lycee.experimental.pagesperso-orange.fr/
Bonaventure: una esperienza educativa autogestita in Francia
Bonaventure, che cosa è? E' una esperienza educativa autogestita.
Bonaventure è un progetto nato da una rivolta, da un rigetto. Rivolta contro la scuola
ordinaria e contro il sistema […]
Rivolta contro la fatalità e l'ordine delle cose: - fatalità della scuola che in Francia
come altrove addestra i bambini, essendo la sottomissione al maestro e al professore
l'obiettivo permanente (premessa della sottomissione al marito per le ragazze, ai
gradi militari per i ragazzi, al padrone per tutti....). – fatalità di una scuola,
strumento dello stato, che riproduce le classi sociali, producendo l'insuccesso
scolastico mentre proclama l'eguaglianza delle possibilità.
Secondo il sociologo Robert Baillon: "Le possibilità di ottenere un diploma sono tanto più
elevate quanto più alta è la classe sociale di appartenenza; un bambino del ceto superiore ha
probabilità cinque volte maggiori di ottenere un diploma rispetto a quelle del figlio di un
operaio".
Per il solo fatto della standardizzazione della lingua (nella scuola francese capitalista è la lingua
borghese ad essere il mezzo di comunicazione esclusivo in opposizione alla lingua popolare
molteplice) che legittima una certa cultura e un certo linguaggio, la scuola capitalista favorisce
certi bambini: quelli della borghesia finanziaria e culturale. E non soltanto essa favorisce certi
bambini, ma per di più essa riesce a persuadere quelli non provenienti dal ceto borghese che la
loro incapacità a parlare come Voltaire rivela una intelligenza minore e li destina naturalmente
ad occupare un posto nella società che sarà meno considerato e meno remunerato.
Bonaventure si pone dunque come una alternativa educativa e scolastica (in mezzo ad
altre esperienze, certo: in Francia esistono anche scuole basate sul metodo Freinet9, almeno
due licei autogestiti....).. Bonaventure si pone chiaramente come membro attivo di un
movimento sociale libertario. A riprova di quel che stiamo dicendo, Bonaventure
applica nel suo quotidiano la gratuità (la scuola è gratuita), la proprietà collettiva (i
beni mobili e immobili appartengono tutti agli aderenti al progetto), un
finanziamento sociale (sotto forma di sottoscrizione e autofinanziamento: libri,
audiocassette, videocassette, manifesti.....). D'altronde, è il logico coronamento a
quel che vado dicendo, Bonaventure non è la scuola del partito, è anarchica.

Essa scolarizza bambini di famiglie di vedute molto diverse, non necessariamente anarchiche,
che hanno tutte trovato il loro posto e assunto delle responsabilità. Bonaventure è dunque un
centro educativo libertario. Per noi, ciò vuol dire uno spazio di apprendimento: -
apprendimento sociale.
Perché la libertà, l'eguaglianza, l'autogestione, la cittadinanza o la solidarietà non
sono principi che si decretano o pratiche innate. Queste cose si apprendono,
soprattutto facendole, per i bambini come per gli adulti.10
La escuela Paideia di Merida
"Attenti al presente che create, perché potrebbe
assomigliare al futuro che sognate"
Mujeres Creando (gruppo boliviano di anarcofemministe
di strada).
Merida, una delle più importanti città dell'impero romano, è letteralmente costruita sulle
rovine, e si estende nell'arido confine a sud-ovest della penisola iberica. Molti dei suoi moderni
edifici si innalzano dalle macerie in esposizione, a volte incorporandole nelle loro stesse
strutture. Il calcestruzzo levigato e il vetro sono giustapposti a macerie ruvide e antiche.
Per 29 anni questa città ha ospitato una delle più durature Scuole Anarchiche - Paideia.
Il nome viene dal concetto ateniese di costruzione del carattere, qualcosa che era
visto come il processo educativo chiave della democrazia diretta nella polis. La
scuola è uno straordinario laboratorio di cittadinanza radicale.
La Paideia è una scuola alternativa (nata nel 1978) a quella classica, qui convivono, durante
tutto il giorno, bambini tra i 18 mesi e i 16 anni d’età, educatori, collaboratori, e osservatori.
Gli alunni organizzano il tempo e la convivenza in collaborazione con gli educatori,
autogestendosi in forma assembleare e mediante commissioni composte da ragazzi\e di
diversà età.
La scuola cerca inoltre di incentivare la cooperazione e la critica alla società in una prospettiva
anarchica, attraverso il rispetto di alcuni principi: negazione dell’autorità, lotta contro la
violenza, la competitività e il consumismo. Un mondo sottosopra - una scuola senza
campanelle, dove i bambini sono in cattedra e dove il programma è incentrato sui
valori anarchici .
Situata in una vecchia fattoria a due piani, colorata di un giallo pastello, su quelli che erano un
tempo i confini della città, fino all'anno scorso Paideia era circondata da lussureggianti oliveti
verdi a perdita d'occhio. Quest'anno11 ogni singolo alberello è stato abbattuto dai bulldozer e
ora la scuola giace in un mare di fango solcato da ruote e strade parzialmente costruite. Un
tempo era una scuola libera nella campagna, adesso è un'oasi paralizzata nel mezzo di un
inferno di sprawl urbano. Enormi bulldozer le vagano attorno, emettendo rumorose vibrazioni
che attraversano i muri e i pavimenti in pietra. Il prossimo anno sarà circondata da 1.500
identiche case suburbane, un altro sviluppo speculativo della Spagna, il cui motto aziendale è
orgogliosamente presentato sugli annunci sopra la devastazione, che ricorda la Somma
francese: "Stiamo creando il futuro".[…]Pepa, una corpulenta sessantenne, è tra i fondatori
della scuola. Nonostante i suoi brillanti capelli tinti di rosso sembra ancora la più normale
insegnante scolastica possibile, allo stesso modo delle altre sette donne e dell'unico uomo che
siedono attorno al tavolo con noi. Ci spiega che le prime settimane dopo l'estate sono sempre
differenti dal modo in cui funziona regolarmente la scuola. "Ritornare dalla vacanze estive è sempre un problema", dice, "per due mesi i ragazzi vivono con i loro genitori e nonni, che
iniziano a fare tutto per loro, così perdono la propria autonomia".
Al cuore della filosofia della scuola c'è l'autonomia e l'auto-gestione. Ogni aspetto
della scuola è gestito mediante assemblee, dal decidere il menu del pranzo agli orari,
dai conflitti personali a quali materie didattiche scegliere. Tutto è discusso e deciso
collettivamente senza gerarchia e imposizione da parte dello staff. Gli studenti dai 18
mesi ai 16 anni auto-gestiscono la scuola insieme. Cucinano, puliscono e prendono le
decisioni sulla gestione.
A Paideia una delle molte cose che ho imparato è questa: essere liberi riguarda
fondamentalmente il prendersi delle responsabilità individuali ed essere in grado di
collaborare fluidamente in una comunità collettiva. In seguito ho cercato di spiegarlo per
telefono al mio figlio dodicenne, Jack, che si trova a Londra. Il motto della sua scuola è
"Servire ed Obbedire", risplendente lungo l'araldico frontone di pietra sopra l'entrata. "Nella
scuola anarchica sei nei guai se chiedi ad un insegnante il permesso di fare qualcosa piuttosto
che darti da fare e farla da solo". Il suo confuso silenzio mostrava lo sforzo contro-intuitivo che
abbiamo avuto tutti una volta realizzato cosa significava. Nella maggior parte delle scuole
se non fai quello che ti viene detto sei nel torto. Qui sei nel torto se ti aspetti che ti
venga detto cosa fare.

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