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venerdì 6 gennaio 2012

LE CATENE DELLA REPRESSIONE SESSUALE



- La nostra società è infettata da una piaga terribile, quella della repressione sessuale; ogni giorno veniamo bombardati da propaganda diretta con un solo semplice scopo, ovvero quello di rendere uomo e donna meri oggetti sessuali, corpi inermi davanti al mercato dello sfruttamento e della tradizione sessista radicata nella nostra cultura; a questa propaganda se ne aggiunge un'altra di stampo religioso, che con i suoi tabù, e la diffusione della concezione del peccato, crea confusione nelle menti delle persone, poste davanti a due figure, da una parte quella della meccanizzazione dei rapporti sessuali  e dall’altra una benda culturale che reprime la conoscenza libera del proprio corpo, tutto ciò non può portare altro che frustrazione, depressione, deviazione dei rapporti sociali, ansia, mancanza di rispetto del corpo altrui e infine maschilismo inconscio e non.
- La donna, ovviamente, è una delle maggiori vittime di questa violenza psicologica, annegata sin dalla nascita in un mare di fallo-centrismo e sottomissione, si può notare tutto ciò dai primi anni a contatto con le istituzioni scolastiche (imposizione della separazione di genere tra bambino e bambina) o con il mercato del consumo con giocattoli appositi per femmine, come bambole perfette da imitare, o bambolotti da accudire, segnando così il destino della donna, ovvero, quello di femmina di plastica, prima, e madre-casalinga, dopo. Inconsciamente vista esclusivamente come ricettacolo vaginale per la continuazione della specie, la donna non appartiene al proprio corpo e viceversa, ma all’uomo o al bambino che dovrà nascere, da qui, con l’aiuto religioso si formano i movimenti anti-abortisti , ovvero, movimenti che si aggiudicano con arroganza ed egoismo, la decisione sul corpo femminile per quanto riguarda la scelta di continuare una gravidanza o interromperla. Propagandano delle falsità scientifiche (basta aprire un libro di scienze per capire che il feto sviluppa tutte le connessioni cerebrali dal quarto mese in poi, quindi capacità come sofferenza e altri sentimenti sono ancora inesistenti), un etica davvero penosa fondata su fantasie patetiche (come il feto che urla, scappa o altri vaneggi ridicoli). Questa feccia disgustosa, porta avanti una lotta “in nome della vita”, ma allo stesso tempo tratta l’esistenza di un futuro bambino come un oggetto, senza sapere quante donne vengono stuprate, o abbandonate da un compagno, o semplicemente senza denaro per crescere un figlio. Secondo il movimento pro-life queste donne potrebbero, dare il figlio in adozione, o magari in una comunità o perché no in un orfanotrofio, senza immaginare lontanamente quanta sofferenza porterebbe ad un bambino una situazione simile.
- È necessaria quindi una presa di posizione da parte del genere femminile, in modo che possano riappropriarsi del proprio corpo e della decisione di diventare madri, di liberarsi dalla cultura maschilista, dal patriarcato, dalla supremazia dell’uomo sulla donna e da una sessualità repressa. Questo cambiamento è collegato alla condizione degli omosessuali, gli individui gay vengono visti come un insulto al genere maschile perché provano attrazione verso gli uomini, e si sa, provare attrazione verso i maschi è roba da femminucce quindi è un male, e non sia mai uscire fuori dall’immaginario machista; mentre le lesbiche sono rappresentate come persone con l’invidia del pene, e un'altra volta spunta fuori l’arroganza fallo-centrica in tutte le sue forme.
- Il sistema ci fa annegare nell’omofobia, ci etichetta come malati, diversi, deviati, patologici, ci impicca, ci lapida, ci fucila, ci da degli stereotipi e schemi da seguire (come essere appassionati di moda, avere degli atteggiamenti da oca- per gli uomini- o da camionista- per le donne), ma nello stesso momento per rendersi democratico, si nasconde dietro una maschera di benevolenza subdola, cercando di integrarci nella sua società, aiutandoci a imitare in maniera patetica gli eterosessuali, come fanno con i malati di handicap, gli danno agevolazioni, un posto nell’autobus o nella metro, ma vengono trattati sempre come malati e non come persone. Così viene fatto a noi, alcuni ci danno il diritto al matrimonio, a manifestare, ci fanno lavorare, ci danno il diritto di voto, e entrare nei locali, questo è il processo di assimilazione che vogliono farci seguire.
- Io non voglio esser visto come malato, deviato, scherzo della natura, non voglio avere i loro contentini democratici, non voglio sposarmi per dimostrare che amo qualcuno, non voglio seguire le loro favole e sogni di vita perfetta, odio le vostre carnevalate, non sopporto i gay pride, le leggine in difesa dei gay, non voglio esser dipinto come gaio, rosa e felice, sono incazzato e voglio essere un semplice essere umano libero di amare e vivere in armonia con i miei fratelli e mie sorelle, che siano eterosessuali, bisessuali, omosessuali o trangender, in quanto varianti della sessualità naturale.
- Per questo è obbligatorio portare avanti una guerra a senso unico e senza compromessi, con ogni mezzo disponibile, anche violento se necessario, contro i movimenti che incatenano le vittime del sessismo, le istituzioni, le correnti anti-abortiste, omofobe, machiste,  le religioni, e tutto ciò che minaccia lo sviluppo armonioso della sessualità umana in modo che ogni individuo possa riappropriarsi del proprio corpo, della propria crescita e  delle proprie scoperte, per vivere i propri rapporti sociali con rispetto e in pace e far sì che l’era della repressione sessuale venga distrutta totalmente.

martedì 31 maggio 2011

Aborto e liberazione animale: David Olivier

La questione dell'aborto è stata già trattata su queste pagine da Carol Adams, in un articolo sul femminismo e la liberazione animale1. Tuttavia, capita ancora che ci venga chiesto, sia da avversari che da sostenitori della libertà di abortire, qual è la nostra posizione in merito. I primi sembrano generalmente sperare, e i secondi temere, che siamo contro l'aborto, probabilmente perché il vegetarismo è spesso associato all'idea di «rispetto di ogni vita» e di ascetismo «morale» (nel senso puritano che in genere si dà a questa parola).
L'idea secondo la quale occorre necessariamente prendere una posizione estrema - e di fatto insostenibile - di «rispetto di ogni vita» nel momento in cui si rispetta quella delle mucche e dei polli che vengono ammazzati per niente, consegue essa stessa da una concezione delle cose profondamente specista. Questo non mi impedirà di prendere sul serio la questione e di sviluppare qualche riflessione.

Perché sostengo la libertà di abortire

Prima di affrontare il nesso tra la questione dell'aborto e la liberazione animale, spiegherò la mia posizione personale.
Per esempio, personalmente non rispetto la vita delle piante. Non perché le disprezzi, ma perché non penso che siano sensibili, ovvero che percepiscano ciò che succede loro2. Se esse non provano né piacere nel vivere, né sofferenza nell'essere tagliate o sradicate, né dispiacere di dover morire, non trovo ragioni per non farne l'uso che mi conviene, e in particolare per non mangiarle.
Prendo l'esempio delle piante per mostrare la differenza tra rispettare la vita in sé (fenomeno incosciente di sviluppo e riproduzione) e rispettare la vita sensibile, ovvero prendere in considerazione gli interessi degli esseri che hanno degli interessi che devono essere rispettati.
Ora, è praticamente certo che l'embrione umano3 non è sensibile almeno durante le prime 18 settimane di gravidanza (su un totale di 38 settimane) per via dell'assenza prima e dell'immaturità poi del suo sistema nervoso. Il neonato invece è sensibile; la sensibilità appare dunque ad un certo momento nel corso della seconda metà della gravidanza. Prima, l'essere in questione, che non prova né piacere né dolore, né timori né speranze, non mi sembra moralmente più significativo di un filo d'erba o di un sasso.
Ovviamente si potrebbe rispondere che si tratta di un futuro essere sensibile, che bisogna rispettare la sua vita potenziale; mi si potrebbe chiedere, ad esempio: «E a te sarebbe piaciuto se tua madre avesse abortito?»
Ebbene, l'idea che potrei non esistere mi è forse sgradevole (non fa mai piacere pensare alla propria contingenza), ma immaginarla come conseguenza di un aborto non è più sgradevole che immaginarla come conseguenza della contraccezione, o dell'astinenza dei miei genitori o dall'ipotesi che non si siano incontrati. La sola cosa che il concepimento assegna ad un essere e che prima non esisteva è il patrimonio genetico; ma non vedo in cosa ciò implicherebbe che quell'organismo insensibile, senza storia e senza progetti, che possedeva quel codice genetico particolare fossi io, più di quanto lo sarebbe un embrione che fosse clonato a partire dal mio corpo o un fratello gemello omozigote di cui apprendessi oggi l'esistenza4.
L'aborto praticato durante le prime 18 settimane dopo la fecondazione, durante le quali l'embrione non è sicuramente sensibile, mi sembra assimilabile ad una semplice contraccezione tardiva. Tuttavia, la decisione di abortire o meno non è di poco conto, perché essa determina l'esistenza di un futuro essere sensibile; ma allo stesso titolo di una contraccezione o di una sterilizzazione o dell'assenza stessa di relazioni sessuali. Penso che oltre al desiderio che si ha oppure no di avere un bambino, in questa decisione occorra tener conto, in particolar modo, da un lato della felicità a cui il bambino può aspirare e dall'altro della sovrappopolazione mondiale. Ma questo è un altro discorso; in ogni caso, poiché in generale non si costringe la gente ad avere bambini, non vedo perché una donna dovrebbe esservi costretta più di un prete che ha scelto il celibato.
Se una donna vuole abortire, penso che abbia il diritto di poterlo fare senza restrizioni, almeno fino a 18 settimane dopo la fecondazione; considerando poi la realtà sociale, penso che occorra fare tutto il possibile perché questo sia facile e gratuito, almeno nei casi in cui il costo dell'operazione costituirebbe un ostacolo5.
Spesso si oppone agli antiabortisti il semplice argomento della libertà della donna. Questo non può bastare se non si aggiunge appunto che l'embrione non ha degli interessi propri. Senza questa precisazione, si tratta di una petizione di principio priva di sostanza, allo stesso titolo della «libertà di mangiar carne» che ci viene opposta quando mettiamo in luce gli interessi degli animali. E il problema si pone effettivamente nel caso di un aborto in stato avanzato di gravidanza, dal momento che nel corso della seconda metà della gravidanza il feto ha acquisito una sensibilità e, con essa, almeno l'interesse a non soffrire.
L'ideale sarebbe che, in questo caso, si prendano in considerazione in ugual modo gli interessi della madre e quelli del feto. In questo caso, non posso avere una posizione teorica altrettanto netta di quella relativa alla prima metà della gravidanza, quando il feto non è sensibile; senza entrare in particolari, e visto il carattere piuttosto sommario degli interessi del feto, penso comunque che in pratica la cosa migliore da fare sia di lasciare la decisione alla donna convolta6.
Ciò che potrebbe essere fatto in ogni caso per tutelare gli interessi del feto maturo è aver cura che non soffra durante l'aborto. I paraocchi specisti – assunti tanto dagli antiabortisti che dai loro oppositori – conducono a dispute intorno alla domanda assurda se l'embrione è o no un essere umano. Secondo la risposta data, si dichiarerà che la sua vita è sacra oppure al contrario gli si negherà nel modo più assoluto una rilevanza morale. Gli uni e gli altri tralasciano di prendere in considerazione quello che a mio avviso è l'unico dato importante, ovvero gli interessi effettivi degli esseri che ne hanno, e in special modo l'interesse eventuale dell'embrione a non soffrire. Non sono abbastanza informato sulle tecniche di aborto per poterne dire di più, ma mi sembra logico che tra le preoccupazioni della liberazione animale ci sia quella di pesare sulla stessa bilancia gli interessi dei feti umani maturi, anch'essi animali. (La facilità di accesso ad un aborto precoce permette anche di ridurre il numero di aborti tardivi, che sono tra l'altro più dolorosi per la donna).

Aborto e liberazione animale

La posizione antiabortista si basa spesso sull'attribuzione all'embrione umano di una grande importanza, di una inviolabilità, di un carattere sacro, semplicemente per via della sua appartenenza alla nostra specie. Ciò che gli avversari dell'aborto vogliono proteggere, è la vita umana, indipendentemente dal suo carattere sensibile. Queste posizioni sono all'opposto rispetto alla liberazione animale.
Come afferma Carol Adams7:
Lo specismo si esprime al suo più alto grado nella protesta sul destino del concepito umano, laddove il carattere sensibile di altri animali è dichiarato moralmente non significativo perché non sono umani. Certi antiabortisti definiscono la vita moralmente significativa in modo talmente largo che essa ingloba l'ovulo appena fertilizzato, e nello stesso tempo talmente ristretto che animali adulti con un sistema nervoso ben sviluppato ne sono esclusi.
Gli antiabortisti attribuiscono una grande importanza alla fecondazione, che fissa l'identità genetica dell'essere. Così anche i cattolici tradizionalisti, che condannano la contraccezione, non la definiscono un omicidio, diversamente dall'aborto. Sembra che per gli antiabortisti, l'essenza di un essere si trovi nella sua identità genetica. Questa idea per me assurda – perché se il nostro genoma ci determina lo fa allo stesso modo di un qualunque fattore ambientale, e l'«innato» non ha uno statuto diverso dall'«acquisito» - è al centro del razzismo, del sessismo e dello specismo. Certo, non si è necessariamente razzisti, sessisti o specisti se si professa questa idea; ma la liberazione animale può più facilmente farne a meno che adattarvisi.
Non si può negare che ci sono delle persone che si oppongono sia all'aborto che allo sfruttamento animale da parte degli umani. La loro posizione mi sembra tuttavia andar contro corrente rispetto alla logica della liberazione animale.

Notes :

1. «Anima, animus, animal», nei CA n°3 (aprile 1992), pp. 11 à 14.
2. Argomenti in favore della non sensibilità delle piante si trovano in Liberazione animale di Peter Singer (A. Mondadori editore, 1975, 1990), pp. 243-244, e nell'articolo di Yves Bonnardel, «Qualche riflessione in merito alla sensibilità che alcuni attribuiscono alle piante», nei CA n°5 (dicembre 1992), pp. 34 – 38.
3. L'animale è chiamato embrione tra il suo concepimento e la sua nascita in modo specifico all'inizio della gestazione (i primi tre mesi negli umani), e feto appena comincia a presentare una morfologia generale (testa, arti etc.) riconoscibile.
4. Del resto, i gemelli omozigoti pongono un problema a coloro che ritengono che l'embrione è un individuo umano fin dalla fecondazione: non può esserci individuo a quello stadio, visto che la divisione da cui nasceranno i gemelli avviene qualche giorno dopo la fecondazione. In potenza, un embrione potrebbe essere diviso all'infinito, se abortire fosse un omicidio per via della semplice potenzialità, allora si tratterebbe di un'infinità di omicidi, il che sembra abbastanza assurdo.
5. La legge francese autorizza l'aborto solo durante le prime dieci settimane. Questa restrizione è assurda e, aggiunta ad altre, ha delle conseguenze spesso gravi. Altri Paesi consentono un aborto più tardivo.
6. Si può difendere l'idea che l'essere che non è cosciente della sua esistenza nel tempo può avere un interesse a non soffrire ma non ad essere ucciso. È quanto fa Peter Singer, in Liberazione animale cit., pp. 33-34, e in modo più sviluppato in Etica pratica (Liguori 1989). V. anche in questo numero dei CA l'articolo di Karin Karcher, «Les animaux, la mort, et l'acte de tuer», e, nel numero 4 (luglio 1992), pp. 5-12, Singer, «L'éthique appliquée». La mia posizione è identica nelle conclusioni a quella di Singer, pur partendo da un punto di vista teorico diverso (utilitarismo edonista).

Diritti delle donne e difesa degli animali: l'ecofemminismo di Carol J. Adams

premetto che non sono totalmente d'accordo con certe affermazioni di carol adams, come la critica di alcune strategie animaliste o il generalizzare sulle idee animaliste accostandole a quelle pro life (io sono vegano ma pro aborto) ma è comunque un articolo e un pensiero interessante, vale la pena leggerlo..


L'inclusione degli animali nell'etica femminile
Carol Adams riscontra che, sebbene le donne costituiscano la gran parte dei movimenti animalisti, il femminismo non si è mai interessato alla causa della liberazione animale con lo stesso fervore politico e filosofico con cui ha abbracciato altre istanze, come l'antirazzismo e la lotta di classe. Ciò è accaduto soprattutto perché, nel corso degli anni, molte femministe hanno recepito l'accostamento della liberazione delle donne alla liberazione animale come un modo per disumanizzare le donne. Esse, al contrario, fondavano la loro azione politica sulla rivendicazione dell'appartenenza della donna alla specie umana, del suo essere razionale e pensante al pari dell'uomo.
Ma, d'altra parte, sintetizza Adams, le filosofie femministe hanno sottolineato come l'assoggettamento delle donne nella cultura occidentale sia effetto dell'enfasi sulla razionalità e del conseguente disconoscimento del corpo. Poiché il corpo è stato svalutato, e poiché donne, animali e persone di colore sono state eguagliate al corpo, esse sono sempre state considerate "meno di". La questione è dunque: come rovesciare questa struttura? Dicendo che la razionalità è importante e che noi donne siamo esseri razionali, rivendicando l'appartenenza al campo da cui siamo state escluse e disconoscendo anche noi il corpo? Oppure rivalutando il corpo come fonte di conoscenza? In questo caso, secondo Adams, potremmo continuare a dire che gli animali sono fatti solo di corpo, che non sono razionali, ma estendendo loro le intuizioni femministe otterremmo la loro inclusione in una nuova sfera etica corporalizzata, fondata sui legami interpersonali, sull'amore responsabile, sulla trasmissione di conoscenza attraverso il corpo.
Lo scopo di Adams non è semplicemente mescolare i diritti animali e i diritti delle donne. Adams intende analizzare le strutture di oppressione, utilizzando gli strumenti concettuali del femminismo di seconda ondata[1], ed interpretare la barriera di specie come una di queste strutture. La barriera umano/animale, in questa prospettiva, è una forma di assoggettamento patriarcale; per abbatterla, è necessario in primo luogo riconoscere questo suo carattere e, successivamente, adoperarsi per il superamento della società maschilista.

Credo che il movimento femminista non abbia rivolto abbastanza attenzione – afferma Carol Adams – al fatto che la presenza di animali è molto spesso un presupposto della nostra oppressione. Le donne che subiscono violenza in casa vengono frequentemente terrorizzate, traumatizzate e ricattate dai loro oppressori attraverso il maltrattamento dei loro animali e dei loro figli. I bambini che subiscono abusi sessuali vengono ricattati con minacce agli animali. Gli atti di violenza sugli animali portano ad una conferma continua del potere maschile.

Secondo Adams, l'identità maschile si è progressivamente costruita, nella nostra cultura, anche attraverso l'alimentazione carnea e il controllo su altri corpi, che si trattasse di donne o di animali. "Uomo", che generalmente nella cultura occidentale si traduce con "uomo bianco", si costituisce come concetto e come identità sessuale solo attraverso la negazione. "Non donna", "non animale", "non di colore". cioè, "non altro". Inoltre, la biologia maschilista ha spesso difeso la supremazia maschile facendo appello alle leggi di natura: il maschio domina la sua femmina perché è ciò che la natura impone (salvo poi infastidirsi quando lo si classifica come animale). "Essere uomo" è legato ad una identità, definita da cosa i "veri uomini" possono e non possono fare. I "veri uomini" non mangiano la quiche , i "veri uomini" vanno a caccia. È interessante notare quanti insulti omofobici vengono lanciati dai cacciatori agli attivisti anti caccia di sesso maschile.

La critica alle filosofie animaliste tradizionali
Carol Adams non accetta né la liberazione animale di Peter Singer, né la teoria dei diritti animali di Tom Regan.

Non credo possiamo pensare ad una "liberazione" animale. I movimenti di liberazione sono movimenti di gruppi oppressi che sorgono dal loro interno. Non mi piace neanche usare la parola "diritti" quando parliamo di difesa degli animali. Il linguaggio dei diritti è un'eredità dell'Illuminismo, quello stesso Illuminismo che ha creato la problematica filosofica dell'individuo razionale.[2]

Il femminismo, afferma Adams, cambia completamente la scena. Non si tratta di prendere la filosofia dei diritti animali ed includervi le donne, ma di partire dal femminismo ed adoperarne le intuizioni fondamentali sul funzionamento del patriarcato. Il patriarcato è un sistema di genere che è implicito nella relazione umani/non umani: l'analisi delle sue strutture getta gran luce sul modo in cui vediamo gli animali.

La critica ad alcune strategie animaliste
Adams è fortemente contraria alle campagne antipellicce della PETA. L'attivismo, a suo parere, dovrebbe essere concentrato in primo luogo sull'abolizione dell'alimentazione carnea perché è questa la forma più seria di oppressione degli animali negli USA[3]. Concentrarsi sulla pelliccia è adottare uno sguardo misogino: la campagna antipellicce offre a molti attivisti per i diritti animali un ulteriore strumento per attaccare le donne.

Mi domando perché la campagna pellicce raccoglie tutta questa energia. La risposta è che si tratta di una delle poche forme di oppressione degli animali in cui le donne vengono viste come colpevoli, privatrici della vita. Penso che ciò alimenti il punto di vista antiabortista.

Secondo Adams, inoltre, la campagna PETA "I'd better go naked than wear fur" ("Preferisco andare in giro nuda piuttosto che indossare una pelliccia". La frase era accompagnata da una foto in cui diverse modelle posavano nude [n. d. t.]) accetta la costruzione culturale della donna come oggetto. Il messaggio subliminale di questa campagna sarebbe "puoi avere altri oggetti nella tua vita, basta che non siano animali: puoi avere donne oggetto". Si tratta di un forte motivo di scontro tra femministe ed attivisti per i diritti animali: perché questa è evidentemente una forma di partecipazione alla costruzione patriarcale dello sguardo maschile sul corpo femminile.

Il rifiuto dell'antiabortismo
Adams ritiene che la difesa degli animali abbia molto in comune con il movimento per il diritto all'aborto e per la libertà sessuale.

Penso che sostenere la difesa degli animali ed essere a favore dell'aborto siano due forme di opposizione alla maternità forzata. Sono contro la maternità forzata delle donne, delle mucche, dei conigli, dei maiali etc. Ho esaminato attentamente il linguaggio che viene usato per giustificare sia l'alimentazione carnea che l'antiabortismo e una delle cose che ho notato è entrambi argomentano a partire dalla "non vita": non è meglio per la mucca essere uccisa in modo "umanitario" piuttosto che non vivere affatto? Molte persone dicono la stessa cosa riguardo all'aborto: e se non mi avessero fatto nascere? Ma il fatto è che se non ti avessero fatto nascere non saresti qui a domandarti "e se.?" Le femministe devono riconoscere che ciò che facciamo agli animali in termini di oppressione è nefando, moralmente e politicamente. È profondamente antropocentrico, proprio come il movimento antiabortista, che in realtà è a favore della vita fetale solo per la specie umana.

Per Adams, si tratta di un problema di responsabilità. Le donne sono in grado di decidere moralmente e responsabilmente se un bambino deve nascere o no. Il movimento antiabortista, invece, non ha fiducia nelle donne: la donna è un referente assente nel discorso antiabortista. È chiaro quando si guarda alla rappresentazione del feto: fluttua nell'aria come se arrivasse dalle nuvole.

I diritti degli animali non sono antiumani
L'accusa fatta ai sostenitori dei diritti animali di essere antiumani rispecchia quella fatta alle femministe di essere contro gli uomini. Carol Adams afferma che di fatto, è lo sfruttamento degli animali che è antiumano.

Se il modello di umanità fosse femminile e vegetariano piuttosto che maschile e carnivoro, allora la nostra idea di natura umana sarebbe profondamente rimessa in causa. Gli animali sarebbero considerati parenti e non prede, o modelli sperimentali, o macchine animate: noi stessi ci vedremmo come radicalmente legati a questi parenti e non come dei predatori, o sperimentatori, o padroni. La ricostruzione femminista della natura umana include l'esame del modo in cui, in quanto umani, interagiamo con il mondo non umano. I diritti degli animali non sono antiumani: essi sono antipatriarcali.

Note
1. Il femminismo di prima ondata rivendicava l'inclusione delle donne nella sfera dei diritti civili e politici. Raggiunto questo scopo (almeno per ciò che riguarda il diritto di voto), dal secondo dopoguerra in poi la riflessione femminista si concentrò sull'analisi teorica dell'origine dell'assoggettamento delle donne e dei meccanismi della società patriarcale, nonché sull'elaborazione di un "pensiero della differenza" che valorizzasse le modalità con cui le donne si rapportano al mondo e agli altri esseri (metafisica femminile, etica della cura etc.) Per uno sguardo sul pensiero femminista nella sua evoluzione storica e nei suoi diversi aspetti, v. l'antologia Le filosofie femministe, a cura di A. Cavarero e F. Restaino, Bruno Mondatori, Milano 2002 [n. d. t.].
2. In realtà l'ipoteca maschile sulla razionalità e lo schiacciamento della donna nella sfera oscura dell'irrazionale ha radici ben più antiche! [n. d. t.].
3. .e non solo! [n. d. t.].

DIETRO LE CASE CHIUSE

A 50 anni dalla prima proposta di legge per la chiusura dei bordelli, sulla prostituzione continua ed evidenziare le ipocrisie della "morale" clericale, antifemminile e sessuofobica.

"... Quanti sifilitici à fatti solo lei? Mettiamo che sono solo 40 al giorno, che codesta bella signorina accontentava, dieci giorni 400 persone. Poi il resto, le conseguenze che vengono dopo". (Lettera N. 13)
"... La ragazza in un giorno a N. à fatto 42 uomini, e sfinita, al giorno dopo, viene la visita del Dottore e la manda all'ospedale con 4 croci in più di Lue [infezione generalmente trasmessa per contagio sessuale; sinonimo di sifilide n.d.r.], ormai una ragazza rovinata". (Lettera N. 19)
"... una giornata speciale contai 120 clienti, 120 lavaggi, 2400 scalini saliti e scesi, e poi, come se non bastasse (tralascio i particolari di scurrilità) alcuni clienti quando hanno finito... ci fanno la morale e ci esortano a cambiar vita... dobbiamo salvare l'anima, ci dicono!!! (Lettera N. 68)
Qualche volta mi capita di pensare che se alcuni libri fossero ristampati, divulgati e magari letti, forse qualcosa comincerebbe a cambiare. Poi invece tocco di nuovo terra e mi rendo conto che i libri da soli non bastano, che ci vuole ben altro. Che bisogna ricominciare a parlarne.
Per esempio di prostituzione.
I tre passi citati più sopra sono tratti da una pubblicazione del 1955, un libro delle Edizioni Avanti! curato da Lina Merlin e Carla Barberis. Lettere dalle case chiuse si intitola. Ed è una raccolta di 70 testimonianze pro e contro la chiusura dei casini corredata da una chiara appendice documentaria sulle norme che hanno regolamentato il mere tricio nel nostro Paese fino al 1958, nonché dal progetto di legge che la stessa senatrice socialista Merlin presentò per la chiusura delle case di tolleranza.
Il prossimo 6 agosto saranno passati 50 anni dalla prima proposta di legge in questo senso. Mezzo secolo. Mezzo secolo durante il quale sono accadute molte cose. Anche il femminismo.
Ma la prostituzione continua ad esistere. Come del resto la stessa Lina Merlin e le sue compagne sapevano bene che sarebbe stato.
E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza? e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose: che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere, una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi dell'amore"; che...?
Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera N.55).
Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema, dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è ben diversa.
"Per difendere il mio intimo, il mio fondo, offrivo agli uomini solo la scorza superficiale", rivela Firdaus, prostituta egiziana d'alto bordo condannata a morte nel 1974 per avere ucciso il suo protettore. (Nawal al Sa'dawi, Firdaus, storia di una donna egiziana)
"Avevo imparato a resistere in maniera passiva, a mantenermi intatta non offrendo niente, a vivere rifugiandomi in un mondo tutto mio. In altre parole concedevo agli uomini il mio corpo, ma un corpo morto, ed essi non potevano suscitare reazioni o tremiti, né darmi piacere o pena".
Ma Firdaus rappresentava un'eccezione: lei era una prostituta di lusso, straordinariamente lucida e consapevole di se stessa.
Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente "immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in mano alle multinazionali della prostituzione.
Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte, spesso.
In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane, albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans".
È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del sesso, l'esercito, la guerra.
"L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione alle Lettere.
E ancora nel 1913, per esempio, in pieno Futurismo -"Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna"-, il "Manifesto futurista della lussuria" di V.Saint Point proclamava:
"La lussuria è pei conquistatori un tributo che loro è dovuto. Dopo una battaglia nella quale sono morti degli uomini è normale che i vincitori, selezionati dalla guerra, giungano fino allo stupro, nel Paese conquistato, per ricreare la vita".
Come pecore, come maiali razziati dopo la vittoria, anche le donne fanno parte del bottino di guerra. Quando non deciderà di sgozzarle dopo averle violentate in tutti modi possibili, come in Algeria, giusto per restare all'attualità, il "conquistatore" è legittimato a marcare il territorio occupato mediante lo stupro etnico. Che è sempre esist ito. Fino alla barbarie della ex Iugoslavia, solo pochi mesi fa. Fino alle torture e agli stupri delle donne indigene in Messico, mentre sto scrivendo.
Ma che cosa differenzia, nella sostanza, uno stupro etnico dalla prostituzione pro-milizie? Una nascita?
Basterebbe leggere anche solo qualche testimonianza delle cosiddette "donne di conforto" di tutti i Paesi dilaniati dai diversi conflitti per rendersi conto che la radice dello stupro etnico e della prostituzione pro-milizie è la stessa: una feroce volontà di dominio. L'esercizio di un potere assoluto sulle donne.
Vern L. Bullough, autore di una delle poche storie della prostituzione in circolazione nelle biblioteche pubbliche, mette in rilievo come siano rari gli storici seri che accettano di approfondire quest'argomento.
Ciò, sottolinea Bullough, nonostante la prostituzione sia "un'istituzione sociale importantissima e strettamente legata alla condizione della donna, al diffondersi delle malattie veneree, all'andamento della natalità e a un vasto numero di problemi sociali, politici e culturali".
Già! Come spiegare le lunghe file di auto che soprattutto di notte percorrono a passo d'uomo i viali delle nostre città, che transitano sulle innumerevoli superstrade alla ricerca di una donna da "caricare". Come spiegare le case d'appuntamento più o meno clandestine, certi locali, la strepitosa serie di annunci sui giornali...
Ma soprattutto: come mettere in relazione questo con il '68; con le battaglie per il diritto d'aborto; con il Movimento del '77; con le lotte sindacali... Con il femminismo?
Di questa contraddizione - macroscopica contraddizione -, sulla quale gli storici di solito preferiscono glissare, il film di Carlo Mazzacurati, Vesna va veloce, è un'intensa e attualissima rappresentazione.
Per quale ragione Antonio [l'attore A. Albanese n.d.r.], il protagonista, che "in una prima stesura era addirittura un comunista molto arrabbiato nei confronti del cambiamento di questi anni nella sua area politica, che viveva da sconfitto ma con orgoglio, da isolato che non si arrende all'idea che l'egualitarismo non abbia più senso, che l'utopi a comunista non abbia più senso..." (Carlo Mazzacurati), sì, per quale ragione, mi domando, per stare con una donna, Antonio "è uno che deve pagare"?
"... deve pagare, in quanto fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera", dice Mazzacurati.
Eh già!
È per questo che anche molti "compagni" comprano il corpo di una donna? per questo la pagano? perché sono "fuori da un circuito generazionale e sociale eccetera"?
"Vesna ha una dignità superiore - come essere umano e come atteggiamento nei confronti della volgarità che attraversa - a quella del protagonista maschile e di tutti gli altri personaggi", afferma ancora Mazzacurati.
E gli va dato atto che ha almeno la lucidità di ammettere che "è chiaramente un punto di vista maschile".
Perché si tratta del solito punto di vista maschile.
Che apre una porta - Mazzacurati con grande maestria cinematografica - senza però entrare. Senza affondare il coltello nella piaga.
Che rimuove, in sostanza.
Il Comitato etico Donna in lotta contro la prostituzione "si ripromette di ridefinire giuridicamente la prostituzione come stupro a pagamento e intende presentare una proposta di legge che, vietando la prostituzione, definisca il cliente reo nella stessa misura dello stupratore".
Non mi interessa, francamente non mi interessa porre questa questione su un piano giuridico. Però l'idea che la prostituzione possa essere considerata uno "stupro a pagamento" mi fa riflettere.
In definitiva, cos'è che il cliente compra da una prostituta?
Compra un diritto? compra un diritto unilaterale al piacere?
"I soldi ce li hai tu e perciò sei tu che compri ma il piacere ce l'avrai solo tu... ", dice Manila al suo cliente. (Dacia Maraini, Dialogo di una prostituta col suo cliente)
La prostituta non sceglie il suo cliente. Può rifiutarlo, eccezionalmente. Ma non lo sceglie. Esattamente come la donna stuprata.
La prostituta non prova piacere.
E neanche la donna stuprata ne prova. La prostituta non può seguire il suo desiderio. Mai.
Proprio come la donna stuprata, che è considerata un oggetto, la prostituta deve fare quello che ha patteggiato col cliente. Che la pagherà per questo.
L'unica differenza, dunque, sono i soldi.
"... Nei grandi centri lo sfruttamento è massimo: se una signorina guadagna, mettiamo 10 mila lire al giorno, deve dare 5 mila al padrone, 2500 per il vitto e l'alloggio; ma non le restano come crede 2500 lire: da queste deve detrarre le mance, la luce, il riscaldamento, il dottore, i supplementi ecc.. Cosa le resta? Poco o niente! Altro che aman ti, come vogliono sostenere i padroni!" (Lettera N. 21)
A cavallo del '900 Alfred Blaschko sosteneva che "è spettato al diciannovesimo secolo di trasformare la prostituzione in una gigantesca istituzione sociale". (Alfred Blaschko, Prostitution in the Nineteenth Century).
E le ragioni di questo secondo lui, ma non soltanto secondo lui, avrebbero dovuto essere ricercate nel "mercato competitivo", "nella crescita e congestione delle grandi città", nell'"instabilità del lavoro".
Aveva visto giusto.
"Nel nostro Paese, negli ultimi cinque anni, il numero complessivo delle prostitute è aumentato del 45%", hanno reso noto le donne greche che hanno partecipato alla due giorni di convegno delle Donne d'Europa per l'autonomia economica contro la disoccupazione e la precarietà, tenutosi a Milano il 30 e 31 maggio scorsi.
"Nel 1991 le prostitute greche erano il 70% contro il 30% di straniere; nel 1996 le proporzioni erano invece del 40 e del 60%. I prezzi delle prestazioni sono calati del 25%, mentre il reddito complessivo prodotto dalla prostituzione è cresciuto del 70% e la clientela del 60% (i dati sono tratti da uno studio dell'Università di Atene)".
"L'hai detto, occhio di serpente, la donna può solo decidere se prostituirsi in pubblico o in privato, per la strada o in casa, chiaro?", fa dire ancora a Manila la scrittrice Dacia Maraini.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute. Ma siccome ero intelligente, preferivo essere una prostituta libera piuttosto che una moglie schiava", racconta Firdaus alla scrittrice e medica Nawal al Sa'dawi.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute".
È stato proprio questo uno degli assunti su cui, nei primi anni Ottanta, alcune donne del Movimento femminista hanno discusso a lungo.
Erano gli anni del nascente "Comitato per i diritti civili delle prostitute" e del giornale Lucciola, cofondato da Carla Corso e Pia Covre.
E su questo le donne del Movimento si scontrarono, anche.
Se molte ritennero giusto schierarsi dalla parte delle prostitute sostenendone attivamente le battaglie, altre invece, pur solidarizzando, non se la sentirono di condividere la tesi che "è pertanto solo una questione di quantità, se essa [la donna n.d.r.] si vende a un solo uomo, dentro o fuori del matrimonio, oppure a più uomini". (Emma Goldman)
Il problema è complesso. Esiste una questione economica e continua ad esistere una questione sessuale.
Le due cose si sovrappongono in modi diversi.
C'è chi, come già Pia Covre e Carla Corso, sostiene che prostituirsi è un lavoro come un altro, che sesso e sessualità possono essere scissi.
C'è chi, invece, non crede affatto che questo sia possibile senza incorrere in gravissime conseguenze per il benessere psico-fisico della donna. Chi, proprio in virtù di quanto è accaduto in questi ultimi tre decenni, desidera e ricerca per sè una considerazione globale, che tenga conto di tutte le componenti della persona: corpo, mente, cuore.
Si tratta comunque sempre di livelli di discussione alti, quasi d'élite. Infatti, "il sommerso della prostituzione, le centinaia, le migliaia che fanno parte della prostituzione, dove davvero il pappa vive... è una multinazionale!" (Atti del convegno Sessualità: parliamo noi)
Ed è con questa realtà che dobbiamo confrontarci.
Nel 1948 Lina Merlin propose di chiudere le case di tolleranza in base a tre articoli dell'allora recentissimo dettato costituzionale: gli articoli 2, 32 e 41 [vedi riquadro].
Per quale ragione si dovrebbe oggi tornare indietro?
Lina Merlin fu deputata e senatrice del Partito Socialista, ma i principi ideali che la ispirarono non sono forse ancora oggi condivisibili nella sostanza, al di là delle divergenze ideologiche?
"... L'igiene pubblica è veramente un pretesto", scrisse inoltre Merlin facendo piazza pulita, una volta per tutte, delle false ragioni accampate dai benpensanti contro la chiusura delle case di tolleranza
- i "padroni" e lo Stato in queste imprese redditizie ci avevano infatti investito un bel pò di soldi.
"Quelle due visite settimanali, fatte nella casa stessa, senza mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono il nulla, o il peggio, poiché fingono di dare all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il medico serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può offrire la donna ai clienti che si succedono a decine in una sola giornata?"
Eccolo lo spettro: il Contagio.
Per evitare il contagio bisognava e bisogna rinchiudere le prostitute. Controllarle.
"Una volta venuto alla luce tanto orrore perché mandare un messaggio di così grave impotenza alla nostra già disorientata pubblica opinione rimettendo puramente e semplicemente in libertà questa disgraziata vittima-killer [un'immigrata clandestina n.d.r.]?", si domanda il giornalista Guido Bolaffi su la Repubblica dell'8 aprile scorso.
Certo è più facile fare come si è sempre fatto. È più facile puntare il dito sulla prostituta. È lei che deve essere punita, rinchiusa, rimandata al suo Paese d'origine.
Peccato però che questa "disgraziata vittima-killer" abbia avuto dei clienti proprio nel nostro di Paese. Perché credo che anche Guido Bolaffi, una volta ripresosi dallo shock della scoperta dell'esistenza di "tanto orrore", sarà senz'altro d'accordo che questi uomini - italiani - non sono stati violentati.
E forse anche Bolaffi, magari raccogliendo qualche notizia in più come sarebbe peraltro auspicabile da parte di uno che fa informazione, potrà venire a sapere che certe prestazioni a rischio - quelle senza il profilattico - sono sempre andate e vanno tuttora per la maggiore. È merce rara, che costa di più.
Ma il "brivido", si sa, ha il suo prezzo.
"... la difesa della salute pubblica va diversamente organizzata... [...] ... bisogna sviluppare il senso di responsabilità dei propri atti", scriveva la senatrice Merlin nel '55.
Vale ancora oggi, credo.
Ed è sconsolante, molto sconsolante, constatare che possiamo ripetere pari pari gli stessi ragionamenti che sono stati fatti mezzo secolo fa. Che Lina Merlin metteva in relazione con la profilassi antivenerea; che noi, 50 anni dopo, possiamo mettere in relazione con l'AIDS. Con la disinformazione e l'ignoranza che in entrambi i casi hanno circond ato e circondano, complice la Chiesa cattolica, un corretto approccio ai problemi.
La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva, e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici.
Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.
Se non con il controllo e la repressione, come ha sempre fatto [a questo proposito basta leggersi, per esempio, il Testo Unico di P.S. sul meretricio del 18.06.1931, n. 773, e il conseguente Regolamento per l'esecuzione della legge pubblicato con R.D. 06.05.1940, n. 635 n.d.r.].
La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi.
Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a riflettere sulla sessualità in modo libero.
Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci, reciprocamente.
Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro piacere.
Sta in "un rovesciamento completo di tutti i valori accettati comunemente - specialmente quelli morali - unito all'abolizione della schiavitù salariata". (Emma Goldman)

lunedì 30 maggio 2011

Anarchismo, Femminismo ed Ecologia: Oltre il Dualismo (colin wright)

"Una società futura basata sull'amicizia con la natura produrrà 
ciò che migliaia di anni di tentativi artificiali 
non sono riusciti a creare, un'organizzazione 
spontanea, libera, solida e forte negli affetti personali" Voltairine de Cleyre

Abbiamo visto che l'anarchismo ha approfondito la critica liberale all'autorità; mentre il femminismo ha esteso la definizione di individuo. Comunque, la relazione tra anarchismo e femminismo rimane irrisolta, talvolta paradossale. Così per L. Susan Brown, "l'anarchismo trascende e contiene femminismo nella sua critica al potere" (Brown, p.209). Nel frattempo, per l'English Zero Collective, "il femminismo oltrepassa l'anarchismo perche il femminismo mostra autorità, gerarchia e leadership per ciò che realmente sono, strutture di potere maschile" (Zero Collective, p.7). L'anarchismo e il femminismo parlano entrambi alla totalità della società, ma nessuno dei due può dichiarare una completa dominanza egemonica sull'altro. La teoria anarco-femminista rimane poco sviluppata, malgrado un rinnovato interesse durante gli anni '70, e gli eloquenti scritti di Carol Ehrlich, Peggy Kornegger e altre. Eppure, una sintesi di queste due differenti filosofie politiche, sarebbe possibile e anche desiderabile, mentre invece rimane da completare. Attualmente, ognuno offre una struttura utile per osservare l'altro, mentre si aggiungono sostanza e ragionamenti. Tuttavia, piuttosto che provare ad unire anarchismo e femminismo, è possibile suggerire un metodo alternativo. L'anarchismo sociale e il radicalismo femminista rappresnetano entrambi tentativi per andare oltre le radici individualiste del liberalismo classico, dove l'individuo è messo contro la Comunità. Noi possiamo superare questo pensiero dualista concentrandoci sul campo emergente dell'ecologia, dove i diversi individui diventano parte di una Comunità dell'unità-in-diversità (Bookchin). In un saggio recente, Thomas S. Martin propone che un "intreccio" di femminismo, anarchismo e ecologia sta iniziando a prendere forma (Martin). Il femminismo è l'ordito, l'anarchismo è la trama e l'ecologia è la fibra. Unire questi movimenti in una convergenza, sostiene, consiste in un'analisi della dominazione. Mentre una critica alla dominazione è certamente un punto cruciale di contatto per l'anarchismo, il femminismo e l'ecologia, la dominazione stessa rimane solo un aspetto del comportamento umano. E' con l'avanzamento del femminismo che è stato rilevato il limite con cui il pensiero patriarcale ha svalutato la vita delle donne. Così non solo pensieri ed emozioni, pubblico e privato, sono rimasti separati, ma anche il comportamento fondamentale al mantenimento della specie è stato sottovalutato. La questione dell'educazione dei figli, assieme a quella degli infermi, degli anziani e spesso degli uomini stessi sono cadute inevitabilmente sulla spalle delle donne. I valori come la preoccupazione e l'empatia che rendono l'aiuto mutuale possibile, provengono dalla nostra lunga permanenza come bambini all'internod ella cultura delle donne. L'anarchismo è realmente un teoria che riguarda il potere e l'autorità, e il potere e l'autorità tendono ad agire nel loro stesso interesse. Come teoria, l'anarchismo comprende la spiegazione dei comportamenti umani che promuovono l'interdipendenza e il sacrificio personale. D'altro canto, il movimento delle donne, che ha puntato la'ttenzione sulla relazione tra l'autonomia e l'interdipendenza, non ha parlato uniformemente nelle sue analisi del potere. L'ecologia è stata capace di offrirci una più vasta struttura concettuale in cui convergono le valutazioni di ognuno. In un modello ecologico ( e qui ne intendo realmente uno sociale ecologico), nè l'anarchismo nè il femminismo sarebebro costretti ad inserire nella struttura altrui. Invece, ciascuno può svilupparsi indipendentemente, o piuttosto, interdipendentemente. Il pensiero ecologico si trova alla base del recente lavoro della filosofa femminista Lorraine Code. Mentre critica l'ecofemminismo con la sua identificazione problematica donna-natura, Code riconosce il valore del modello ecologico come veicolo per il femminismo:

"Una società orientata sulla comunità ed ecologicamente responsabile creerebbe preoccupazione e partecipazione comune alle questioni fondamentali e sarebbe in grado di ritrutturare il dibattito fra i membri della comunità come conversazione, non come confronto. Il suo scopo è quello di promuovere l'appoggio reciproco e un ambiente non oppressivo" (Code, p.278)

"Inoltre, l'ecologia può fornire mezzi al femminismo per "creare spazi per sviluppare resaponsabilmente prospettive che rendano esplicite le interconnessioni tra le forme e i sistemi di dominazione, sfruttamento, e oppressione, in tutte le loro differenti manifestazioni" (Code, p.27l).

Il pensiero ecologico stesso deve molto alla tradizione libertaria. Dal geografo del 19° secolo Peter Kropotkin all'ecologista sociale dei giorni nostri Murray Bookchin, la visione anarchica delle comunità a democrazia diretta che non cerca di dominare la natura offre alternative alla minaccia industriale capitalista che grava sull'integrità della biosfera. Quello di cui non si è tenuto conto è che queste visioni ecologiste possono comprendere una negoziazione mediata e femminista tra pubblico-privato. Così è possibile aprire la strada a un dialogo produttivo tra donne e uomini, tra femminismo e anarchismo. Una nuova forma politica può ancora emergere: deve muoversi necessariamente oltre il patriarcalismo liberale e la sua enfasi all'individualismo isolato per dirigersi verso l'ugualitarismo tra individui, verso la comunità e la Terra, in modo che fioriscano assieme in armonia.

L' Anarchismo e la Spaccatura Pubblico - Privato (colin wright)

"Care compagne, quando avevo raggiunto la vostra età, la questione 
sessuale non aveva grande importanza per me. Ma adesso 
sì, e rappresenta un fattore tremendo per migliaia, 
addirittura milioni, di giovani." Emma Goldman,
conversando con Peter Kropotkin (Goldman, p.253)

Mentre le donne nel diciannovesimo secolo erano impegnate nella spaccatura liberal-radicale, i libertari stavano discutendo "la questione femminile". In Inghilterra, il nuovo teorico anarchico William Godwin aveva formato un'alleanza con la pioniera femminista Mary Wollstonecraft. Nel frattempo in Francia, l'utopista Charles Fourier stava scrivendo che " il progresso sociale e i cambiamenti del periodo storico hanno luogo in proporzione all'avanzamento della donna in campi come la libertà, e il declino sociale soggiunge come risultato della diminuzione della libertà delle donne" (Beecher, p.l). Similarmente, il nuovo socialista Robert Owen, parlando delle sue comunità Utopiche, dice che "entrambi i sessi devono avere la stessa educazione, gli stessi diritti, privilegi, e la stessa libertà personale" (Harsin, p.75). Purtroppo, la pratica ha insegnato che le buone intenzioni non sono sufficienti, visto che l'ostilità spesso opera proprio all'interno dell'ambiente Utopico. Dal suo studio sulle comunità Oweniane, Jill Harsin ha concluso che "l'attaccamento alla domesticità tradizionale della società comune è servita a incorporare le disuguaglianze del vecchio mondo in quello nuovo" (Harsin, p.82). Questa divisione continua a contagiare i movimenti sociali contemporanei. Mentre molti uomini riconoscono che le donne devono essere soci attivi della vita pubblica, questi stessi però non vogliono ammettere che ciò comporti anche un uguale coinvolgimento nella vita domestica. Nel frattempo, Pierre-Joseph Proudhon (il primo ad adottare il modello "anarchista") si allontana sempre di più dalle posizioni degli Utopisti per considerare la famiglia patriarcale come l'unità sociale fondamentale (Marsh). E mentre Bakunin incita la totale partecipazione delle donne nella vita pubblica, lui non differisce molto da Marx o da Engels a tal riguardo. Sia lo stato socialista che le società anarco-sindacaliste materializzatisi nel ventesimo secolo, falliscono nello sfidare la dicotomia pubblico-privato che spesso si conclude nel raddoppiamento del caricod i lavoro femminile. Martha Ackelsberg ha scritto in uno studio sulla Rivoluzione Spagnola: " la corrente principale del movimento anarchico spagnolo rifiuta di riconoscere sia la specificità dell'oppressione delle donne sia la legittimità della separazione delle lotte per sormontarla" (Ackelsberg, p.ll8). Come conseguenza delle politiche liberali classiche - e la relativa enfasi sulla libertà individuale - l'anarchismo ha ereditato dal liberalismo una consistente polarizzazione maschile. Non solo le donne vengono minimamente coinvolte nella creazione sia del liberalismo che dell'anarchismo, ma l'anarchismo trattiene dal liberalismo una serie di dualismi gerarchici, a volte in sordina, a volte no. Così, ad esempio, le opposizioni pubblico-privato e ragione-emozione diventano parte sia dell'individualismo anarchico, con il suo orientamento capitalista, che dell'anarchismo sociale basato sulla comunità. Ciò nonostante, il concetto di individuo che era emerso nell'anarchismo sociale rimane profondamente differente da quello liberale. Mentre l'anarchismo sociale cerca di mantenere e rafforzare i legami della Comunità, il liberalismo combacia perfettamente con il capitalismo emergente. La focalizzazione dell'anarchismo sociale sulla comunità punta alla promozione dell'aiuto mutuale, una focalizzazione che coincide con i concetti socialisti emergenti di coscienza di classe, solidarietà e internazionalismo. L'immagine liberale della competizione, i diversi individui che lavorano per il loro stesso interesse hanno rappresentato la veri antitesi all'ala sinistra dell'anarchismo. Ma mentre gli anarchici sociali e i socialisti riconoscevano che il lavoro di classe non avrebbe mai ottenuto un'uguaglianza sostanziale all'interno del sistema politico liberale, le femministe iniziavano a capire che non sarebbero mai arrivate a un'uguaglianza fra i generi in un sistema patriarcale che aveva chiuso loro le porte della vita pubblica. Descrivendo l'apparente contraddizione fra "individui liberi e uguali" e le donne schiavizzate nella vita domestica, Anne Phillips scrive: " Trovando chiusa la porta principale, il patriarcato è entrato da quella di servizio. Invece di rifiutare tutte le forme di autorità naturale, i nuovi liberali si sono limitati a sostenere che il governo e la famiglia sono due regni separati" (Phillips, p.l4). Così, la dicotomia pubblico-privato, che istituzionalizza il controllo maschile sul potere decisionale comunitario, trova appoggio prima nelle politiche liberali e poi in quelle anarchiche.

Il Femminismo e la Spaccatura Liberal-Radicale ( colin wright)

Il Femminismo e la Spaccatura Liberal-Radicale

"... il successo della piena libertà delle donne (di tutte le donne, 
non di poche privilegiate) presuppone profondi 
cambiamenti economici, sociali e politici che, nel 
verificarsi di un tale sviluppo storico, non 
permetterebbero all'attuale
status quo di sopravvivere" Hester Eisenstein (p. xvii).

Come minimo, il femminismo è un impegno per l'uguaglianza fra i generi, un riconoscimento che la dominazione maschile esiste ed è sbagliata. Trova le sue radici nella tradizione liberale dell'autonomia e della libertà di scelta. Questa tradizione è ancora forte tutt'oggi ed è ben rappresentata dalle femministe liberali. Queste femministe credono che l'uguaglianza può essere raggiunta attraverso la modifica del presente sistema, attraverso la promozione di maggiori occasioni di equità (incremento degli accessi all'educazione e ai luoghi di lavoro, ecc.). Comunque, gli anni '60 e '70 hanno visto emergere un nuovo radicalismo femminista di diversi tipi - radicale, socialista, lesbico, nero, anarchico, ecc. Le femministe radicali, in contrapposizione alle femministe liberali, credono che l'intero sistema - liberalismo patriarcale - sia una struttura sbagliata, disegnata da e per gli interessi dei soli uomini. Quindi, per queste femministe, il femminismo è poco meno che rivoluzionario. Purtroppo, visto che i media hanno dato accesso soltanto al femminismo tradizionale o liberale, il potenziale rivoluzionario del femminismo è stato oscurato e degradato. Nel frattempo, il significato del femminismo liberale è stato dibattuto, senza nessun consenso da parte della comunità femminista riguardo la sua reale definizione. La socialista femminista Zillah Eisenstein crede che le contraddizioni del femminismo liberale - possono le donne essere uguali nello stato liberale patriarcale? - porteranno finalmente a uno sbocco verso l'esterno e indicheranno la strada per una nuova società radicale. Nelle sue parole, "la contraddizione tra liberalismo (patriarcale e individualista nella struttura e nell'ideologia) e femminismo ( come uguaglianza sessuale e collettiva) pone le basi per il movimento femminista che va oltre il liberalismo" (Zillah Eisenstein, p.3). Altre sono meno sicure. Bell Books scrive che il "processo con cui emergerà questo radicalismo sarà poco chiaro... L'impatto positivo delle riforme liberali sulla vita delle donne potrebbe non portare allo sradicamento del sistema di dominazione" (Books, p.l9). Per Books, "gli impulsi rivoluzionari devono interagire liberamente con le nostre teorie e le nostre pratiche se realmente il movimento femminista vuole porre fine all'oppressione e progredire, se vogliamo seriamente trasformare la nostra realtà attuale" (Books, p.l63). Infatti le radici del radicalismo femminista si estendono (alla fine) del diciannovesimo secolo, quando ha luogo una spaccatura tra liberalismo e radicalismo. Margaret Marsh in un recente studio fornisce la cronaca di un movimento femminista anarchico precedente (Marsh). Presagendo la seconda ondata del femminismo radicale, con la convinzione che "il personale è politico", queste femministe anarchiche insistono su questo concetto:

"la subordinazione femminile è radicata in un sistema obsoleto di relazioni sessuali e familiari. Attaccando il matrimonio, spesso premendo sulla varietà sessuale - insistendo sull'indipendenza economica e psicologica e a volte negando la responsabilità materna, si punta in realtà all'autonomia personale come a una componente essenziale dell'uguaglianza sessuale, sottolineando che i diritti legali e politici non porterebbero allo stesso tipo di equità".(Marsh, p.5)

Nel frattempo, le femministe liberali (caratterizzate da Elizabeth Cady Stanton) cercano l'uguaglianza con gli uomini spingendo per il diritto al voto. Solo con l'emersione delle femministe anarchiche e delle recenti femministe radicali si inizia a sfidare la dicotomia pubblico-domestica. Alla fine, le votanti hanno vinto il giorno (e il voto), e la sfera privata come la questione femminista vengono dimenticate. E mentre Emma Goldman e Margaret Sanger continuano a combattere per il controllo delle nascite, la sessualità diventa il regno di Freud e Reich. Come questione politica, la sessualità deve attendere l'avvento di Kate Millett o Shulamith Firestone nella nostra nuova era. La teoria anarchica femminista è stata trascurata nel nostro tempo (e non solo dagli uomini anarchici). Di conseguenza, sia l'anarchismo che il femminismo ne soffrono. Ad esempio, poche delle nuove socialiste o delle femministe radicali sviluppano critiche sullo stato-nazione. Prevedibilmente, dopo poco, inziano ad emergere gli argomenti in favore dello "stato femminista" (MacKinnon). E mentre le tattiche anarchiche per l'azione diretta hanno giocato una parte importante all'interno del movimento anarchico, il numero di anarco-femministe dichiarate rimane inferiore rispetto a quello delle socialiste, delle radicali e delle liberali. Una prospettiva un po' differente dell'attuale spaccatura fra radicali e liberali ci viene offerta da Angela Miles. Riconoscendo che le tradizionali divisioni e le strutture - liberali, socialiste, anarchiste, nere, ecc. - rispecchiano una politica polarizzata e creata dagli uomini, preferibilmente spinge per un modello centrato sulla donna che chiama "femminismo integrativo". In questo modo cerca di unire le femministe "rivoluzionarie/evoluzionarie" per sfidare "i sistemi mondiali di dominazione" (Miles, p.l4). Afferma che "esiste un gran numero di femministe che, malgrado la diversità delle proprie analisi e dei propri argomenti, condivide il femminismo come embrione di nuove politiche di generale rilevanza e di significato universale" (Miles, p.20). Spesso, afferma Miles, queste femministe hanno molto più in comune con chi non condivide le stesse medesime posizioni. Tuttavia, il femminismo utile è quello che unisce, e penso che sia inevitabile il momento in cui queste contraddizioni troveranno sfogo. Ad esempio, mentre ci si oppone a "tutte" le forme di dominazione, bisogna chiarire la propria posizione rispetto allo stato. Qui non punto a rifiutare dogmaticamente lo stato ( e a dividere le femministe), ma piuttosto a trovare le implicazioni per la pratica. Le femministe "integrative" vogliono costruire una società dal basso oppure desiderano solo che qualche loro richiesta venga supplita dalle istituzioni statiste, senza riconoscere la relativa natura dominante dello stato?

ANARCHISMO E FEMMINISMO di colin wright

"Un anarchismo serio deve anche essere femminista, 
altrimenti diventa una questione di semi-anarchismo 
patriarcale, e non anarchismo
vero e proprio".Federazione Anarchica Norvegese

Come anarchisti sociali ereditiamo un tipo di teoria (basata sull'esperienza) che sembra oggi svilupparsi più potentemente rispetto al passato. L'analisi delle relazioni di potere che inserisce l'oppressione nella gerarchia e nella dominazione ci porta a capire molti movimenti sociali contemporanei - attraverso una valutazione che proprio all'interno di molti di questi movimenti manca del tutto. Comunque, mentre abbiamo uno scheletro sovraccarico di teorie sociali, siamo obbligati a imparare dai nuovi movimenti sociali in modo da poter implementare queste stesse teorie. Così ascoltiamo e apprendiamo attivamente dalle persone di colore temi come l'Eurocentrismo e altre forme di razzismo, dagli attivisti gay e dalle attiviste lesbiche l'eterosessismo e l'omofobia, dagli animalisti lo specismo, ecc.

In questo articolo trattiamo propriamente il movimento femminista, sia per capire come un'analisi prettamente anarchista possa contribuire alla sua crescita, e viceversa per vedere - da anarchisti - cosa possiamo imparare dal femminismo. Anche se la partecipazione maschile al femminismo è talvolta un aspetto controverso, voglio iniziare la sezione parlando del mio personale coinvolgimento con questa questione. E concluderò con alcune speculazioni che riguardano l'ecologia come terreno futuro comune dell'anarchismo e del femminismo.

Sarebbe incompleto affermare che il movimento anarchico - sia storico che contemporaneo - è androcentrico o omocentrico. Un contributo teorico a un'astratta e generalizzata "equità" è qualcosa di troppo vago - specialmente quando questa "equità" non viene estesa all'ambiente domestico. Molte analisi anarchiche continuano a ignorare la realtà della dominazione maschile, dirigendo le proprie critiche verso le relazioni commerciali, il capitale e lo stato, o la civilizzazione. Qualsiasi siano i meriti di queste critiche, l'uguaglianza fra i generi è ritenuta una priorità minore o da trattare successivamente allo sviluppo del "giusto" modo di pensare. Il fatto che l'abbattimento del sessismo possa richiedere sforzi notevoli è raramente contemplato.

Gli uomini nel femminismo
"Gli uomini devono lottare per crearsi un tipo di 
esperienza che la supremazia 
maschile gli ha negato" Sandra Harding ( p.286)

Come uomo, ho messo in secondo piano il mio interesse per il femminismo lasciando il primo posto all'assorbimento delle politiche della sinistra ecologista. Ho sempre creduto che la battaglia per la libertà umana fosse quasi interamente realizzata all'interno delle arene maschili di pensiero (anche se con una certa sensibilità per le questioni delle donne). Fino ad allora ho supportato passivamente gli obiettivi dell'autonomia femminile. E' stato così fino a quando (attraverso le mie letture) ho capito che tutti gli uomini traggono beneficio dal sessismo - e non parlo solo di chi abusa, stupra, maltratta o discrimina -, iniziando così a guardare profondamente dentro il mio privilegio da uomo (bianco). Nella vita familiare, nella scuola, nel mercato del lavoro, ho quasi sempre avuto un vantaggio sulla mia controparte femminile (e non bianca). Il mio interesse per il femminismo, anche grazie alla letteratura e alle novelle femministe, mi ha portato a iniziare a capire che la mia stessa visione utopista del futuro stava sempre più diventando centrata sulla donna e la sua affermazione. Mentre il mio orientamento anti-capitalista e antistatista rimaneva forte come sempre, ho notato una svolta delle mie valutazioni che sono sfociate in un sempre crescente riguardo per la consolidazione dei rapporti intimi. Ho cominciato a sviluppare una sensibilità femminista e ho trovato sempre più facile riconoscere il comportamento patriarcale maschile che fino ad allora avevo ignorato. Alla fine ho capito come la lotta delle donne femministe potesse apportarmi dei grandi benefici. Mentre Emma Goldman sosteneva che solo le donne possono liberarsi dalla loro oppressione "interna", gli uomini possono giocare un ruolo importante nell'aiutare a smantellare l '"esternalità" del patriarcato. Abbattendo il proprio sessismo e quindi sfidando quello degli altri, possiamo contribuire a generare un clima che promuova la completa partecipazione di tutti in ogni campo della vita. Mentre esiste nella comunità femminista uno spettro di dubbio riguardo la partecipazione maschile, molte donne apprezzano il supporto. Sandra Harding in un suo recente libro afferma che gli uomini possono essere femministi così come le donne bianche possono essere anti-razziste. Per lei, gli uomini dovrebbero adottare un' "identità proditoria" e sviluppare un "punto di vista femminista" (Harding, p.288). Tuttavia, la partecipazione maschile nel femminismo (compresa la mia) richiede cautela. "Gli uomini amano appropriarsi, dirigere, giudicare e gestire ogni cosa che gli passa per le mani", ha scritto Harding (p.280). Quindi, solo se siamo consapevoli dei pericoli che l'influenza femminista può esercitare sulla nostra agenda maschile, possiamo contribuire al movimento femminista. Dopo tutto, il punto è conferire potere alla donna. Comunque, detto questo, molti degli ostacoli che rendono gli uomini sessisti sono complessi, intersecati, e relativamente inseplorati. Possiamo parlare di impegno per la logica femminista, di uguaglianza fra i sessi, ecc. ma ancora non ci siamo accorti di quanto il nostro comportamento sia intimidatorio e arrogante. Anche verso i fattori istituzionali (famiglia, scuola, media, ecc), i sottili ( e anche non sottili) effetti della socializzazione dei generi rimangono. Comparativamente, sappiamo ancora poco dello sviluppo dell'infanzia e della costruzione della mascolinità e della femminilità. Ma, mentre l'eliminazione totale del comportamento patriarcale richiede molto tempo, dobbiamo capire che l'analisi finale del femminismo porta alla liberazione umana. Saremo tutti beneficiari di una società basata sull'aiuto e la cooperazione senza ricorrere alle minacce di aggressione o all'intimidazione.

L'ANARCO-FEMMINISMO DI EMMA GOLDMAN di bruna bianchi

È stata una delle donne anarchiche più impegnata nella rivendicazione e nella messa in pratica dei diritti dell’altra metà del cielo.
Ora le edizioni BFS ne pubblicano un’ennesima raccolta di scritti, con il titolo “Femminismo e anarchia”. Ne pubblichiamo ampi stralci dell’introduzione.


Il mito di Emma Goldman
Negli ultimi decenni sono stati dedicati ad Emma Goldman numerosi scritti; si tratta per lo più di studi di carattere biografico, pervasi da un’ammirazione profonda per il suo attivismo appassionato, il suo temperamento indomabile, l’audacia delle sue campagne sul controllo delle nascite e il libero amore, il rigore della sua lotta contro la coscrizione e la guerra, il prezzo altissimo pagato per le sue idee. In una tale impostazione la maggior parte degli autori ha seguito il sentiero tracciato da Emma Goldman stessa nell’autobiografia, Vivendo la mia vita, l’avventura eroica di una donna, ebrea, immigrata, anarchica che seppe aderire nella propria vita ai propri ideali. (…)
Già negli anni Trenta Emma Goldman era diventata una figura mitica, un’icona, il simbolo della fierezza anarchica. Raramente gli studi hanno messo in discussione un mito che però ha oscurato a lungo la complessità e la radicalità del pensiero di Emma Goldman. L’attivista focosa e la ribelle hanno messo in secondo piano la pensatrice. Priva di una vera creatività intellettuale, spesso esclusa tanto dagli studi generali sull’anarchismo che da quelli sul femminismo, essa è stata descritta come una divulgatrice delle teorie di altri, in particolare di Bakunin e di Kropotkin. «Ella non fu assolutamente una pensatrice politica e sociale di rilievo». Questo giudizio, espresso nel 1961 da Richard Drinnon in “Rebel in Paradise”, è stato costantemente ripreso negli anni successivi. Perpetuando una concezione consolidata nella storia del pensiero politico che contrappone vita emozionale e pensiero, la maggior parte degli studiosi ha sminuito il contributo dell’anarchica russa sul piano teorico. Non stupisce quindi che siano state soprattutto le studiose femministe, nella convinzione che l’esperienza esistenziale arricchisca e illumini il pensiero, a considerare la filosofia politica e sociale di Emma Goldman degna di attenzione.
Le ricerche recenti hanno messo in rilievo la ricchezza della sua formazione culturale e teorica che, oltre agli anarchici europei, all’individualismo di Nietzsche, Stirner e Ibsen, attinse agli autori della tradizione radicale di resistenza all’autorità americani. Fondendo il suo pensiero con quello di Ralph Waldo Emerson, Walt Whitman, Henry David Thoreau, Emma Goldman contribuì a sfatare il mito che considerava l’anarchismo un prodotto europeo, una dottrina estranea agli Stati Uniti, introdotta dagli immigrati. Dalla tradizione dell’individualismo americano, dall’ideale della piena libertà degli esseri umani, sia come persone che come cittadini, Emma Goldman trasse nuovo impulso per la sua stessa concezione anarchica.

Individuo e società
Solo l’anarchismo enfatizza l’importanza dell’individuo, le sue possibilità e bisogni in una società libera. L’anarchismo insiste sul fatto che il centro di gravità nella società è l’individuo, che egli debba pensare da sé, agire in libertà e vivere pienamente la propria vita.
Così scriveva Emma Goldman in un articolo del 1934 in cui faceva un bilancio della sua vita. L’anarchismo, il «meraviglioso ideale», «il grande fermento del pensiero», era la filosofia della piena espressione individuale e della «fusione armoniosa» di individuo e società (…)
La visione di Emma Goldman del «meraviglioso ideale» è una visione aperta alla possibilità. L’impegno di tutta la sua vita fu quello di favorire le condizioni per lo sviluppo e l’espressione di una interiorità vitale e creativa in tutti gli aspetti della vita contrastando i tentativi della società di controllare gli individui attraverso codici morali coercitivi e distruttivi dei legami personali e sociali che imponevano distorsioni agli impulsi naturali. I temi ai quali si rivolse la sua lotta politica e ai quali dedicò i suoi scritti: libertà di parola, indipendenza femminile, libertà sessuale, controllo delle nascite, diritti dei lavoratori, educazione alla libertà e al pensiero critico, a suo parere erano strettamente correlati, aspetti inscindibili di un unico processo che avrebbe condotto allo sviluppo di individualità forti e indipendenti, capaci di creare nuove e più libere forme di espressione.

Liberazione personale e mutamento sociale
Il modo di vivere la propria vita secondo gli ideali di libertà, a partire dalle relazioni più intime con gli altri, era per Emma Goldman un fine in sé e un aspetto cruciale del mutamento sociale (…)
Di quei dodici saggi scelti ad illustrazione del suo pensiero, risultato dello «sforzo della mente e dell’anima», cinque erano dedicati alla questione femminile: al tema del suffragio, della prostituzione, del matrimonio, della sessualità e dell’amore.
Le sue convinzioni radicali su questi argomenti apparvero ai contemporanei ben più pericolose delle idee che giustificavano la violenza rivoluzionaria e neppure nel movimento anarchico esse erano pienamente accolte, bensì considerate questioni di secondaria importanza, se non di vere e proprie deviazioni. È nota la conversazione di Emma Goldman con Kropotkin durante la quale l’anarchico russo le chiese se «valesse la pena perdere tanto tempo a discutere di sesso» e la sua raccomandazione rivolta alle anarchiche americane affinché dessero la priorità nella loro azione politica alla liberazione dei lavoratori (…)
A differenza della maggior parte delle suffragiste, Emma Goldman era convinta che l’indipendenza femminile non si sarebbe realizzata in seguito a miglioramenti economici o a concessioni dall’alto, ma avrebbe preso le mosse da una rigenerazione interiore, da una trasformazione del modo di pensare.
Una tale impostazione rivela la consapevolezza della natura complessa del dominio, una costrizione che si esercita in ogni aspetto della vita: sui bisogni materiali, sui corpi, sulla mente e sulla condotta. Il dominio è anche un modo di porsi di fronte all’esperienza sociale e personale che soffoca la vita, distorce la personalità degli individui, conduce alla omologazione delle idee e alla passività.
Opporsi al dominio in tutte le sue forme implicava un processo di liberazione dalle costrizioni esterne e interiori, imponeva che si rompesse il cerchio della dipendenza – economica, psicologica ed emotiva – perché si potessero manifestare ed esprimere i propri desideri e le proprie inclinazioni. In questo processo i temi della sessualità e della riproduzione assumevano un’importanza fondamentale, in particolare per le donne, oppresse dalla famiglia patriarcale e dalla morale puritana.

La critica al suffragismo
Le convinzioni di Emma Goldman sul rapporto tra liberazione personale e mutamento sociale la ponevano in aperto contrasto con il movimento suffragista. Le donne avrebbero dovuto liberare se stesse dai propri «tiranni interiori» e non attendersi l’emancipazione dalla partecipazione alla politica parlamentare, «corruttrice della personalità e delle convinzioni». Un tale antisuffragismo radicale non trovava consensi unanimi neppure tra le femministe anarchiche, alcune delle quali vedevano nel voto il riconoscimento del diritto delle donne ad esprimersi e pertanto un passo verso l’affermazione della propria dignità.
A parere di Emma Goldman era in primo luogo il modo di vivere la propria vita da parte delle sostenitrici del suffragio a dimostrare che la via da loro indicata era sbagliata. Il rifiuto delle convenzioni sociali, infatti, aveva condotto molte di loro ad escludere dalla propria vita le relazioni di intimità con gli uomini. Un messaggio di rinuncia, una scelta di impoverimento della propria vita affettiva da cui non poteva scaturire alcuna emancipazione (…)
Un altro motivo di contrasto con le suffragiste era legato al tema della differenza di genere. «La mia divergenza con le femministe [...] sta nel fatto che la maggior parte di loro vede la propria schiavitù come qualcosa di distinto dal resto del genere umano». Malgrado tutte le teorie politiche ed economiche che si occupano delle differenze fondamentali tra i vari gruppi della specie umana, malgrado le differenze di classe e di razza, malgrado tutte le artificiali linee di demarcazione tra i diritti dell’uomo e quelli della donna, da parte mia sono convinta che esista un punto in cui queste differenziazioni possono incontrarsi e riunificarsi in un insieme perfetto (La tragedia dell’emancipazione femminile).
Uno dei principali argomenti avanzati dalle suffragiste a favore del voto alle donne si fondava sulla convinzione della loro superiorità morale. Se le donne avessero potuto esprimersi attraverso il voto – affermavano –, se avessero potuto riversare nella società i valori femminili della cura e della difesa della vita, avrebbero contribuito a liberare la convivenza sociale dai mali che la affliggevano.
Al contrario – a parere di Emma Goldman – uomini e donne non rappresentavano mondi antagonisti, il dualismo dei sessi era una nozione assurda, una separazione meschina. Le donne non erano migliori degli uomini e non sarebbero riuscite là dove gli uomini avevano fallito. Gli esiti deludenti del suffragio femminile nella sfera sociale e politica nei paesi in cui le donne avevano ottenuto il diritto di voto, stavano a dimostrarlo.

Donne e uomini
Il rifiuto delle premesse del movimento per il suffragio condussero Emma Goldman a non misurarsi con la riflessione femminista contemporanea sulla differenza di genere. Benché nel complesso il movimento per il suffragio fosse un movimento di donne delle classi medie, conservatore e puritano, non mancava una corrente femminista che fondava la sua analisi sulla differenza tra i generi e che muoveva una critica radicale alla società industriale, al militarismo, allo sfruttamento sessuale delle donne, alla violenza domestica.
L’enfasi sulla necessità dell’incontro tra uomini e donne, sulla comune umanità, sul carattere artificiale delle divisioni e l’avversione per ogni forma di puritanesimo possono spiegare una tale sottovalutazione che condusse Emma Goldman a limitare le sue stesse argomentazioni. Infatti, quando essa fa riferimento alle esperienze femminili, non le definisce e non le analizza. «Femminilità», «istinto materno», «animo femminile», «emozioni profonde di una vera donna, innamorata e madre» sono espressioni che hanno potuto apparire conservatrici perché non si accompagnavano ad una riflessione sulla specificità femminile, che non poteva essere semplicemente elusa.
Ugualmente, la sua critica penetrante al concetto corrente di emancipazione, esteriore e superficiale, una emancipazione che finiva col rivendicare una parità vuota e acritica, come «il privilegio di diventare giudice, carceriera, boia», o quello di diventare «un automa da lavoro», si arresta di fronte alla mancata definizione del diverso processo di liberazione nell’uomo e nella donna (…)
Tanto Emma Goldman era distante dal modo di pensare delle suffragiste delle classi medie, quanto si sentiva vicina al vissuto delle donne delle classi lavoratrici. Lo rivelano i saggi dedicati al tema della prostituzione.
In questi scritti la sua analisi è acuta, penetrante, radicale, provocatoria. Essa equipara la prostituzione alle relazioni matrimoniali, individua le sue cause principali non solo nel fattore economico, ma anche nell’ignoranza e nella condizione di inferiorità in cui erano tenute le ragazze, nel pregiudizio che le condannava. Le ragazze sono definite le «vittime della moralità», ovvero di un’ipocrisia bigotta che considerava la prostituzione una necessità o un vizio femminile.
Anche in questo caso, la sua critica si arresta di fronte alla differenza tra i generi. Dopo aver affermato che la prostituzione «succhia la linfa vitale sia degli uomini che delle donne», la sua attenzione si fissa su colei che si prostituisce e ne analizza anche la distorsione dell’impulso sessuale, quella particolare sovreccitazione provocata dal lavoro negli stanzoni affollati delle fabbriche e dalla frequentazione dei locali di divertimento a basso costo. Sulla distorsione dell’impulso sessuale negli uomini, un tema che altre femministe del suo tempo andavano affrontando, Emma Goldman non fa alcun cenno.
Il rifiuto delle facili contrapposizioni tra uomini e donne, la volontà di fustigare l’ipocrisia puritana, conducono Emma Goldman ad eludere alcune tematiche cruciali dei rapporti tra i generi. Per queste ragioni il suo appello alla liberazione femminile appare talvolta volontaristico, quasi incurante degli ostacoli che le donne avrebbero dovuto affrontare per conquistare la dignità necessaria a rivendicare la propria indipendenza e tradisce una certa insofferenza per coloro che non seguivano il suo esempio.

Una pioniera e un modello
Attraverso i suoi scritti, le sue conferenze e l’autobiografia Emma Goldman voleva portare un messaggio e offrire un modello, dimostrare che la vita delle donne poteva essere libera ed emotivamente appagante. Il testo di una conferenza dedicata nel 1911 a Mary Wollstonecraft, al suo desiderio di fare l’esperienza di relazioni coniugali rivoluzionarie, alla ribellione contro le costrizioni autoritarie, al temperamento passionale, è particolarmente illuminante dell’immagine che Emma Goldman aveva di sé e dello spirito con cui si accostava alla questione femminile. Emma Goldman fu una delle poche femministe a far riferimento a Mary Wollstonecraft, sulla cui opera cadde ben presto il silenzio a causa della sua vita “scandalosa” e delle sue sfide al conformismo ritenute dannose per la causa emancipazionista. In Mary Wollstonecraft Emma Goldman si rispecchiava; in essa vedeva una figura tragica, la pioniera del moderno concetto di femminilità la cui vita e il cui pensiero la collocavano al di là della capacità di comprensione dei contemporanei (…)
Come Mary Wollstonecraft, Emma Goldman in diverse fasi della vita fu travolta dalla passione per un uomo, una passione che sentiva come un limite alla sua libertà e che la sua ragione rifiutava. La tensione tra libertà e reciprocità, tra il desiderio di completa indipendenza e quello della sicurezza di un legame, tra le sue convinzioni sul libero amore e l’incapacità di liberarsi dalla gelosia, fu un vissuto lacerante. Lo rivelano l’autobiografia e soprattutto le lettere inedite. Così scriveva a Ben Reitman nel 1909: Non ho il diritto di portare un messaggio agli altri quando non c’è messaggio nella mia anima. Non ho il diritto di parlare di libertà poiché sono diventata una schiava abbietta in amore.
Le riflessioni più radicali contro la monogamia e la gelosia, come quelle contenute nella conferenza La gelosia, le sue cause e una possibile cura, furono elaborate nei periodi più tormentati delle sue relazioni d’amore, quando stava conducendo una lotta interiore per superare quei sentimenti che criticava pubblicamente. Le esortazioni a condurre una vita libera che rivolgeva alle sue uditrici, i suoi appelli alla volontà, erano gli stessi che rivolgeva, in modo sofferto, a se stessa.
Nel 1931, così scriveva ad Alexander Berkman: «Nella lotta che mi lacerava ogni volta che dovevo decidere tra il mio amore per un uomo e le mie idee, invariabilmente le mie idee e non la mia passione hanno deciso la mia strada». Il fatto è che non abbiamo scelta, aveva scritto, sempre ad Alexander Berkman, nel 1925, «l’impulso verso la libertà, che spinge alla lotta per un ideale più elevato, è talmente grande e trascinante che non possiamo resistere». L’ideale di un futuro anarcofemminista, un tempo in cui tutti sarebbero stati liberi nell’amore e nel lavoro, in grado di fare di se stessi persone pienamente umane e creative in grado di produrre vera ricchezza sociale (…)
Tale era lo «splendido ideale» a cui aveva dedicato la sua vita e che la rendeva insofferente di ogni meschinità, di ogni prospettiva politica ristretta, che animava la sua critica sferzante e determinava la sua intransigenza.
Emma Goldman ci ha lasciato un’eredità complessa; attraverso la sua vita e la sua elaborazione teorica ha contribuito a dare una dimensione femminista all’anarchismo e una dimensione libertaria al femminismo. La sua convinzione dell’interdipendenza tra il mutamento sociale e collettivo e quello interiore degli individui merita di essere ripresa, apprezzata in tutto il suo valore, arricchita dall’esperienza della nostra vita.