Visualizzazione post con etichetta emma goldman. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta emma goldman. Mostra tutti i post

lunedì 30 maggio 2011

ANARCHIA di emma goldman (parte 3)

L’Anarchia, quindi, significa in realtà la liberazione della mente umana dal controllo della religione; la liberazione
del corpo umano dal controllo della proprietà: la liberazione dalle catene e dalle restrizioni del
governo. L’Anarchia significa un ordine sociale basato sulla libera associazione degli individui con il fine di
produrre la vera ricchezza sociale; un ordine che garantirà a ogni essere umano la libertà di accedere alle
ricchezze della terra e il più completo godimento delle necessità della vita, secondo i desideri, i gusti e le
inclinazioni individuali.
Questo non è un folle capriccio o un’aberrazione della mente. È la conclusione cui sono giunti una schiera
di intellettuali, uomini e donne, in tutto il mondo; una conclusione che deriva dall’osservazione attenta e
ravvicinata delle tendenze della società moderna: la libertà individuale e l’uguaglianza economica, le due
forze gemelle della nascita di quanto più bello e vero esiste nell’essere umano.
Veniamo ai metodi. L’Anarchia non è, come molti potrebbero supporre, una teoria del futuro da realizzarsi
per ispirazione divina. È una forza vivente negli affari della nostra vita, creando costantemente nuove condizioni.
I metodi dell’Anarchia non comprendono quindi un programma rigido da essere attuato in tutte le
circostanze. I metodi devono nascere dai bisogni economici di ogni luogo e clima, e dai requisiti comportamentali
e intellettuali degli individui. Il carattere calmo e sereno di un Tolstoy spererà in diversi metodi di
ricostruzione sociale da quelli di una personalità intensa e traboccante di un Michael Bakunin o di un Peter
Kropotkin. Come pure dovrebbe essere evidente che i bisogni economici e politici della Russia richiederanno
misure più drastiche di quelle necessarie per l’Inghilterra o l’America. L’Anarchia non implica addestramento
militare e uniformità; significa però uno spirito di rivolta, in qualunque forma, contro tutto ciò
che ostacola la crescita degli esseri umani. Tutti gli Anarchici concordano su questo punto, così come concordano
nella loro opposizione alla macchina politica come mezzo per realizzare il grande cambiamento
sociale.

"Tutti i processi di voto", dice Thoreau, "sono una specie di gioco, come gli scacchi o il backgammon, un
giocare con il concetto di giusto e sbagliato; i suoi obblighi non eccedono mai quello dell’opportunismo.
Anche votare per la cosa giusta equivale a non fare niente per essa. Un uomo saggio non lascerà il giusto
alla mercé del caso, né vorrà che prevalga attraverso il potere della maggioranza". Un esame ravvicinato
della macchina politica e dei suoi risultati getta luce sulla spiegazione di Thoreau.
Che cosa dimostra la storia della democrazia parlamentare? Nient’altro che fallimenti e sconfitte, neppure
una riforma tesa a migliorare le condizioni economiche e sociali della gente. Sono stati promulgati leggi e
decreti per il miglioramento e la tutela delle condizioni lavorative. Così solo lo scorso anno si è dimostrato
che l’Illinois, lo stato con le leggi più severe per la protezione dei minatori, ha vissuto i più grandi disastri
minerari. Negli stati in cui prevalgono le leggi contro il lavoro minorile, lo sfruttamento dei bambini è ai
suoi livelli più alti, e sebbene con noi i lavoratori godano di piene opportunità politiche, il capitalismo ha
raggiunto il suo zenit più sfacciato.
Anche se i lavoratori fossero in grado di avere i propri rappresentanti, che i nostri bravi politici socialisti
stanno chiedendo a gran voce, che speranze ci sono per la loro onestà e buona fede? Non dobbiamo fare
altro che tenere a mente il processo politico per renderci conto che il suo sentiero di buone intenzioni è in
realtà pieno di trabocchetti: manipolazioni, intrighi, adulazioni, menzogne e inganni; in realtà, imbrogli di
ogni tipo, grazie ai quali gli aspiranti politici riescono ad avere successo. A questo si aggiunge la completa
demoralizzazione delle personalità e delle convinzioni, fino a quando non rimane nulla che possa lasciare
ancora sperare di ottenere qualcosa da tali relitti umani. Più e più volte le persone sono state tanto sciocche
da fidarsi, credere e sostenere con le loro ultime risorse gli aspiranti politici, solo per ritrovarsi tradite e
ingannate.
Si potrebbe sostenere che uomini integerrimi non si lasceranno corrompere dalla macina politica. Forse no;
ma tali uomini non saranno assolutamente in grado di esercitare la benché minima influenza nell’interesse
della forza lavoro, come si è dimostrato in numerose occasioni. Lo Stato è il padrone economico dei suoi
servitori. Uomini di buona volontà, se mai ne esistono, resterebbero fedeli alla loro fede politica, perdendo
così il loro supporto economico, o resterebbero fedeli al loro padrone economico, diventando pertanto incapaci
di fare alcun bene. L’arena politica non lascia altre alternative: si diventa tonti o malviventi.
La superstizione politica ha ancora il predominio sui cuori e sulle menti delle masse, ma i veri amanti della
libertà non vogliono avere più nulla a che fare con essa. Invece, credono con Stirner che l’uomo può avere
tutta la libertà che ha voglia di prendersi. L’Anarchia è dunque a favore dell’azione diretta, della ribellione
aperta e della resistenza a tutte le leggi e restrizioni, economiche, sociali e morali. Ma la ribellione e la
resistenza sono illegali. Proprio in questo sta la salvezza dell’essere umano. Ogni cosa illegale richiede
integrità, indipendenza e coraggio. In breve, richiede spiriti indipendenti e liberi, "uomini che siano uomini,
che abbiano una spina dorsale attraverso la quale non si può far passare una mano".
Lo stesso suffragio universale deve la sua esistenza all’azione diretta. Se non fosse stato per lo spirito di
ribellione, per la resistenza da parte dei padri rivoluzionari americani, i loro posteri indosserebbero ancora
la livrea del sovrano. Se non fosse stato per l’azione diretta di John Brown e dei suoi compagni, l’America
commercerebbe ancora in carne degli uomini di colore. È vero, il commercio di carne bianca è ancora in
corso; ma anche quello dovrà essere abolito dall’azione diretta. Il sindacalismo, l’arena economica del gladiatore
moderno, deve la sua esistenza all’azione diretta. Solo recentemente i governi e i legislatori hanno
cercato di soffocare il movimento sindacale, condannando alla prigione per cospirazione i difensori del
diritto dell’uomo a organizzarsi. Se il movimento sindacale avesse cercato di portare avanti la propria causa
mendicando, supplicando e scendendo a compromessi, oggi avrebbe un portata inesistente. In Francia, in
Spagna, in Italia, in Russia, persino in Inghilterra (ne è testimone la crescente ribellione dei sindacati
inglesi), l’azione economica diretta e rivoluzionaria è diventata una forza talmente potente nella battaglia
per la libertà industriale, da far sì che il mondo si rendesse conto dell’incredibile importanza del potere dei
lavoratori. Lo Sciopero Generale, l’espressione suprema della consapevolezza dei lavoratori, è stato ridicolizzato
in America solo poco tempo fa. Oggi ogni grande sciopero, per avere successo, deve rendersi conto
dell’importanza della protesta generalizzata e solidale.

L’azione diretta, che si è dimostrata efficace in campo economico, è altrettanto potente in ambito individuale.
Lì centinaia di forze abusano dell’essere dell’individuo, e solo la resistenza costante a tali forze riuscirà
a liberarlo. L’azione diretta contro l’autorità sul posto di lavoro, contro l’autorità della legge, contro
l’autorità invadente e intrigante del nostro codice morale è il metodo logico e coerente dell’Anarchia.
Questo non porterà forse a una rivoluzione? Certamente. Nessun cambiamento sociale si è mai verificato
senza una rivoluzione. La gente non è familiare con la storia delle rivoluzioni, oppure non ha ancora
imparato che la rivoluzione non è altro che il pensiero che si trasforma in azione.
L’Anarchia, il grande lievito del pensiero, permea oggi ogni fase dell’azione umana. La scienza, l’arte, la
letteratura, il teatro, l’impegno per il miglioramento delle condizioni economiche, in realtà ogni opposizione
sociale e individuale al disordine esistente delle cose, è illuminato dalla luce spirituale dell’Anarchia.
È la filosofia della sovranità dell’individuo. È la teoria dell’armonia sociale. È la grande, nascente,
vivente verità che sta ricostruendo il mondo, e che annuncerà l’Alba.

ANARCHIA di emma goldman (parte 2)

Riferendosi al governo Americano, David Thoreau, il più grande anarchico americano, ha detto: "Il Governo,
cos’è se non una tradizione, sebbene recente, che cerca di trasmettersi inalterata ai posteri, ma che
perde in ogni fase la sua integrità; non ha la forza e la vitalità di un singolo essere umano. La legge non ha
mai reso nessun uomo neppure minimamente più giusto; e attraverso il rispetto delle leggi, anche chi è ben
disposto diventa quotidianamente un agente dell’ingiustizia".
Non c’è dubbio che la caratteristica principale del governo è l’ingiustizia. Con l’arroganza e l’autosufficienza
del Re che si considerava infallibile, i governi dispongono, giudicano, condannano e puniscono
anche le infrazioni più insignificanti, pur mantenendo il proprio potere attraverso la più grande di tutte le
infrazioni, l’annientamento della libertà individuale. Ouida ha dunque ragione, quando sostiene che "lo
Stato mira solo a instillare nel pubblico quelle qualità grazie alle quali si rispettano i suoi ordini e si riempiono
le sue casse. La sua maggiore conquista è la riduzione dell’umanità a un ingranaggio. Nella sua atmosfera
tutte quelle libertà più delicate e sottili, che richiedono particolare attenzione e uno spazio sempre maggiore,
inevitabilmente si inaridiscono e muoiono. Lo Stato ha bisogno di una macchina che paghi le tasse
senza alcun intoppo, di forzieri in cui non vi sia mai un deficit, e di un pubblico monotono, obbediente,
monocromatico, senza spirito, che si muova umilmente come un gregge di pecore lungo una strada lunga e
dritta tra due muri".
Eppure anche un gregge di pecore opporrebbe resistenza agli imbrogli dello Stato, se non fosse per i metodi
corrotti, tirannici e oppressivi che usa per raggiungere i suoi obiettivi. Quindi Bakunin ripudia lo Stato
quale sinonimo della resa della libertà dell’individuo o di piccole minoranze; la distruzione delle relazioni
sociali, la decurtazione o persino la completa negazione della vita stessa, per il proprio innalzamento. Lo
Stato è l’altare della libertà politica e, come l’altare religioso, viene mantenuto al fine di compiervi sacrifici
umani.
In realtà, è difficile trovare un pensatore moderno che non concordi che il governo, o l’autorità organizzata,
o lo Stato, sia necessario solo a mantenere o proteggere la proprietà e il monopolio. Si è dimostrato efficiente
solo nello svolgere quella funzione.
Anche George Bernard Shaw, che spera nel miracoloso dello Stato sotto il Fabiansimo, nonostante tutto ammette che "[lo Stato] attualmente è un’enorme macchina che deruba i poveri e li riduce in schiavitù con
la forza bruta". Se questo è vero, è difficile vedere perché mai l’astuto prefatore desideri difendere lo Stato
dopo che la povertà abbia smesso di esistere.
Sfortunatamente, ci sono ancora molte persone che continuano a credere nell’idea fatale che il governo si
poggi su leggi naturali, che mantenga l’ordine e l’armonia sociale, che riduca il crimine e che impedisca al
pigro di approfittarsi dei suoi simili. Esaminerò dunque queste credenze.
Una legge naturale è quel fattore nell’essere umano che si manifesta liberamente e spontaneamente senza
alcuna forza esterna, in armonia con i dettami della natura. Per esempio, il bisogno di cibo, di gratificazione
sessuale, di luce, di aria e di esercizio sono leggi di natura. Ma la loro espressione non ha alcun bisogno
della macchina governativa, non ha bisogno del manganello, della pistola, delle manette o della prigione.
Obbedire a tali leggi, se di obbedienza possiamo parlare, richiede solo spontaneità e libere opportunità. Che
i governi non si mantengano attraverso questi fattori armoniosi è dimostrato dal terribile dispiego di violenza,
forza e coercizione che tutti i governi usano per vivere. Blackstone ha quindi ragione quando dice,
"Le leggi umane sono invalide, perché sono contrarie alle leggi di natura".
A meno che non si tratti dell’ordine di Varsavia dopo il massacro di migliaia di persone, è difficile attribuire
ai governi qualunque capacità per l’ordine o l’armonia sociale. L’ordine che deriva dalla sottomissione e
che viene mantenuto attraverso il terrore non è una garanzia di sicurezza; eppure è l’unico "ordine" che i
governi abbiano mai mantenuto. La vera armonia sociale cresce spontaneamente dalla solidarietà degli
interessi. In una società in cui coloro che lavorano sempre non hanno mai niente, mentre coloro che non
lavorano mai hanno tutto, la solidarietà degli interessi è inesistente; l’armonia sociale non è dunque che un
mito. L’unico modo in cui l’autorità organizzata affronta questa grave situazione è attribuendo privilegi
ancora maggiori a coloro che hanno già monopolizzato la terra, e rendendo sempre più schiave le masse
diseredate. Quindi l’intero arsenale del governo - le leggi, la polizia, i soldati, le corti, la legislatura, le prigioni
- sono strenuamente impegnati nell’"armonizzare" gli elementi più antagonisti della società.
L’apologia più assurda dell’autorità e della legge è che servono a ridurre il crimine. A parte il fatto che lo
Stato è esso stesso il più grande dei criminali, infrangendo ogni legge scritta e naturale, rubando sotto
forma di tasse, uccidendo sotto forma di guerre e di pene capitali, è arrivato alla paralisi più completa nel
gestire il crimine. Ha fallito completamente nel distruggere o persino minimizzare l’orrendo flagello di sua
stessa creazione.
Il crimine non è altro che energia mal diretta. Fintanto che ogni istituzione odierna, economica, politica,
sociale e morale, cospira nel convogliare le energie umane nei canali sbagliati; fintanto che la maggior parte
delle persone è come pesci fuor d’acqua, facendo cose che odia fare, conducendo una vita che detesta, il
crimine sarà inevitabile, e tutte le leggi negli statuti possono solo aumentare, ma mai eliminare il crimine.
Che cosa sa la società, come esiste oggi, del processo della disperazione, degli orrori, della lotta spaventosa
che l’animo umano deve affrontare lungo il cammino che porta al crimine e al degrado? Chi conosce questo
terribile processo non può non vedere la verità contenuta in queste parole di Peter Kropotkin:
"Coloro che stanno in equilibrio tra i benefici così attribuiti alla legge e alle pene, e gli effetti degradanti di
questi ultimi sull’umanità; coloro che giudicheranno il torrente di depravazione riversato in giro nella
società umana dall’informatore, persino favorito dal Giudice, e pagato in denaro sonante dai governi, con il
pretesto di aiutare a smascherare il crimine; coloro che si recheranno tra le mura di una prigione e vedranno
cosa gli esseri umani diventano quando sono privati della libertà, quando sono soggetti alle cure di custodi
brutali, a parole dure e crudeli, a migliaia di umiliazioni brucianti, saranno d’accordo con noi che l’intero
apparato delle prigioni e delle pene è un abominio cui bisogna porre fine".
L’influenza deterrente della legge sull’uomo pigro è troppo assurda perché meriti di essere presa in considerazione.
Se solo alla società venissero risparmiati i costi e gli sprechi di mantenere una classe pigra, e i
costi altrettanto grandi necessari per proteggere questa classe, le tavole della società sarebbero coperte di
beni in abbondanza per tutti, incluso persino l’occasionale individuo pigro. Inoltre, è bene considerare che la pigrizia risulta da privilegi speciali o da anomalie fisiche e mentali. Il nostro attuale folle sistema di produzione
favorisce entrambe queste cose, e la cosa più sorprendente è che le persone abbiano affatto voglia
di lavorare. L’Anarchia mira a liberare il lavoro dalle sue componenti deprimenti e degradanti, della sua
monotonia e della sua coercizione. Mira a fare del lavoro uno strumento di gioia, di forza, di colore, di vera
armonia, così che anche i più poveri possano trovare nel lavoro ricreazione e speranza.
Per realizzare un tale arrangiamento sociale, bisogna eliminare il governo, con le sue misure ingiuste, arbitrarie
e repressive. Nel migliore di casi non ha imposto altro che un singolo stile di vita per tutti, senza
tenere conto della diversità e dei bisogni individuali e sociali. Nel distruggere i governi e le leggi scritte,
l’Anarchia propone di salvare il rispetto di sé e l’indipendenza dell’individuo dal vincolo e dall’invadenza
dell’autorità. Solo nella libertà l’uomo può crescere pienamente. Solo nella libertà imparerà a pensare e a
muoversi, e a dare il meglio di sé. Solo nella libertà si renderà conto della vera forza dei legami sociali che
tengono insieme gli uomini, e che sono i veri fondamenti di una normale vita sociale.
Ma che dire della natura umana? Può essere cambiata? E se no, riuscirà a sopravvivere sotto l’Anarchia?
Povera natura umana, che crimini orrendi sono stati commessi in tuo nome! Ogni sciocco, dal re al
poliziotto, dal parroco ottuso allo scienziato dilettante e senza immaginazione, pretende di parlare con
autorità della natura umana. Quanto più grande il ciarlatano mentale, tanto più decisa la sua insistenza sulla
cattiveria e la debolezza della natura umana. Eppure, com’è possibile parlarne oggi, con ogni anima in prigione, con ogni cuore in ceppi, ferito e menomato?
John Burroughs ha affermato che lo studio sperimentale degli animali in cattività è del tutto inutile. Il loro
carattere, le loro abitudini, i loro appetiti vengono completamente trasformati quando sono strappati al loro
habitat dei campi e delle foreste. Con la natura umana in una gabbia angusta, costretta quotidianamente con
la forza alla sottomissione, come possiamo parlare delle sue potenzialità?
Solo la libertà, l’espansione, l’opportunità e, soprattutto, la pace e la quiete, possono insegnarci i veri fattori
dominanti della natura umana e tutte le sue meravigliose potenzialità.

ANARCHIA di emma goldman (parte 1)

La storia della crescita e dello sviluppo dell’umanità è al tempo stesso la storia della tremenda lotta di ogni
nuova idea che annuncia l’alba di un mondo migliore. Nel suo attaccarsi tenacemente alla tradizione, il
Vecchio non ha mai esitato a ricorrere ai mezzi più meschini e crudeli per ostacolare l’avvento del Nuovo,
in qualunque forma o periodo quest’ultimo abbia provato ad affermarsi. Né è necessario tornare troppo
indietro nel tempo per renderci conto dell’enorme opposizione, delle difficoltà e delle privazioni che hanno
intralciato il cammino di ogni idea progressista. L’eculeo, lo schiaccia-pollici e lo scudiscio sono ancora tra
noi; così come lo sono la divisa da galeotto e il furore popolare, che cospirano insieme contro lo spirito che
continua serenamente a marciare.
L’Anarchia non poteva sperare di sfuggire al destino di tutte le altre idee innovative. Anzi, come l’innovatore
più rivoluzionario e irremovibile, l’Anarchia deve fare i conti con l’odio e l’ignoranza del mondo che
cerca di ricostruire.
Trattare persino lontanamente tutto quello che viene detto e fatto contro l’Anarchia richiederebbe un intero
volume. Mi limiterò quindi a confutare due delle obiezioni principali. Così facendo, cercherò di chiarire
cosa significa veramente l’Anarchia.
Lo strano fenomeno dell’opposizione all’Anarchia è che tale opposizione mette in luce la relazione tra la
cosiddetta intelligenza e ignoranza. Eppure questo non è poi così strano, quando consideriamo la relatività
di tutte le cose. La massa ignorante ha a suo favore il fatto di non avere nessuna pretesa alla conoscenza o
alla tolleranza. Agendo puramente in base all’impulso, come sempre fa, le sue ragioni sono come quelle di
un bambino. "Perché?" "Perché". Eppure l’opposizione degli illetterati all’Anarchia merita la stessa considerazione
di quella delle persone intelligenti.
Quali sono, allora, le obiezioni? Primo, l’Anarchia non è pratica, sebbene si tratti di un ideale meraviglioso.
Secondo, Anarchia significa violenza e distruzione, pertanto deve essere ripudiata perché spregevole e pericolosa.
Sia l’uomo istruito che la massa ignorante esprimono giudizi non in base a una conoscenza approfondita
dell’argomento, ma in base a ciò che hanno sentito dire o a una cattiva interpretazione.
Uno schema pratico, dice Oscar Wilde, è uno che già esiste, oppure uno che possa essere attuato date le
condizioni esistenti; ma sono proprio le condizioni esistenti a cui ci opponiamo, e qualsiasi schema che
accetti tali condizioni è sbagliato e insensato. Il vero criterio per definire la praticità, quindi, non è se
quest’ultima lasci inalterato ciò che è sbagliato o insensato; piuttosto, è se lo schema abbia abbastanza
vitalità da abbandonare le acque stagnanti del vecchio per costruire, oltre che sostenere, una nuova vita.
Alla luce di questa definizione, l’Anarchia è certamente pratica. Più di qualunque altra idea, aiuta a liberarsi
di ciò che è sbagliato e insensato; più di ogni altra idea, cerca di costruire e sostenere una nuova vita.
Le emozioni delle persone ignoranti vengono continuamente alimentate dai racconti più raccapriccianti
sull’Anarchia. Non c’è niente che sia troppo oltraggioso da non potere essere usato contro questa filosofia e
i suoi sostenitori. Quindi l’Anarchia è per gli ignoranti quello che il proverbiale uomo nero è per un bambino:
un mostro che inghiotte tutto; in breve, distruzione e violenza.
Distruzione e violenza! Come può la persona comune sapere che il fattore di maggiore violenza nella
società è l’ignoranza; che il suo potere distruttivo è proprio quello contro cui l’Anarchia sta combattendo?
Né tale persona è consapevole del fatto che l’Anarchia, le cui radici, per così dire, fanno parte delle forze
della natura, distrugge non il tessuto sano, ma la crescita parassitica che si nutre della linfa vitale della
società. L’Anarchia si limita a ripulire il terreno dalle erbacce e dall’artemisia, affinché possa dare i suoi
frutti.
Qualcuno ha affermato che il condannare richiede uno sforzo mentale minore del pensare. La pigrizia mentale,
così prevalente nella società, dimostra che quest’affermazione è del tutto vera. Piuttosto che approfondire
una data idea, esaminarne le origini e il significato, la maggior parte delle persone la condannerà completamente, o si affiderà a qualche definizione superficiale e carica di pregiudizi dei suoi aspetti non
essenziali.
L’Anarchia stimola le persone a pensare, a indagare, ad analizzare ogni proposizione; ma affinché la
capacità mentale del lettore medio non venga sottoposta a sforzi eccessivi, comincerò con una definizione
che poi elaborerò.
ANARCHIA: La filosofia di un nuovo ordine sociale basato sulla libertà, senza restrizioni provenienti da
leggi emanate dall’uomo; la teoria che tutte le forme di governo sono basate sulla violenza, e sono quindi
sbagliate e dannose, oltre che inutili.
Il nuovo ordine sociale si fonda, naturalmente, sulla base materialistica della vita; ma mentre tutti gli anarchici
sono d’accordo che il male maggiore oggi è di natura economica, sostengono anche che la soluzione a
questo male può essere trovata solo prendendo in considerazione ogni ambito della vita: individuale, oltre
che collettivo; interno, oltre che esterno.
Un esame approfondito della storia dello sviluppo umano rivela due elementi in grave conflitto l’uno con
l’altro; due elementi che soltanto adesso iniziano a essere compresi, non come estranei l’uno all’altro, ma
intimamente legati e veramente armoniosi, se solo collocati nell’ambiente adatto: gli istinti individuali e
sociali. L’individuo e la società stanno da tempo immemore conducendo una battaglia inesorabile e sanguinaria,
lottando per la supremazia, perché sono a stati a lungo incapaci di comprendere l’uno il valore e
l’importanza dell’altro. L’istinto individuale e sociale - il primo un fattore potentissimo dell’impegno individuale
verso la crescita, l’aspirazione e la realizzazione di sé; il secondo un fattore altrettanto potente per
la sollecitudine reciproca e il benessere sociale.
Non occorre andare lontano per trovare una spiegazione della tempesta che imperversa in seno all’individuo,
e tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda. L’uomo primitivo, incapace di comprendere il proprio
essere, ancor meno l’unità di tutte le forme di vita, si sentiva totalmente dipendente da forze oscure e
cieche, sempre pronte a farsi gioco di lui. Da quell’atteggiamento nacque il concetto religioso dell’essere
umano come un semplice granello di polvere dipendente da forze superiori, che possono essere rabbonite
solo da una resa totale. Tutti gli antichi miti si basano su quell’idea, che continua a essere il leitmotiv delle
storie bibliche che trattano della relazione dell’uomo con Dio, con lo Stato, con la società. Ancora e ancora
lo stesso ritornello, l’uomo è nulla, i poteri sono tutto. Così Jeovah era disposto a sopportare l’uomo solo a
condizione di una resa totale. L’uomo può aspirare a tutte le glorie terrene, ma non deve diventare cosciente
di sé. Lo Stato, la società e le leggi mortali cantano tutti lo stesso ritornello: l’uomo può aspirare a tutte le
glorie terrene, ma non deve diventare cosciente di sé.
L’Anarchia è la sola filosofia che offre all’uomo la consapevolezza di sé; che sostiene che Dio, lo Stato e la
società non esistono, che le loro promesse sono nulle e vuote, visto che possono essere mantenute solo dalla
subordinazione dell’uomo. L’Anarchia insegna quindi l’unità della vita; non solo nella natura, ma
nell’uomo. Non esiste alcun contrasto tra gli istinti individuali e sociali, non più di quanto esista un conflitto
tra il cuore e i polmoni: il primo è il contenitore di una preziosa linfa vitale, il secondo il custode
dell’elemento necessario a mantenere l’essenza pura e forte. L’individuo è il cuore della società, conservando
l’essenza della vita sociale; la società è il polmone che distribuisce l’elemento necessario a mantenere
l’essenza vitale (cioè l’individuo) pura e forte.
"L’unica cosa di valore al mondo", dice Emerson, "è l’anima attiva; tutti gli uomini l’hanno dentro di sé.
L’anima attiva cerca la verità assoluta, proferisce e crea la verità". In altre parole, l’istinto individuale è
l’unica cosa di valore al mondo. È la vera anima che vede e crea la viva verità, dalla quale nasce una verità
ancora più grande, la rinata anima sociale.
L’Anarchia è la grande liberatrice dell’uomo dai fantasmi che lo hanno tenuto prigioniero; è l’arbitro e il
pacificatore delle due forze dell’armonia individuale e sociale. Per realizzare quell’unità, l’Anarchia ha
dichiarato guerra alle influenze perniciose che hanno finora impedito la miscelatura armoniosa degli istinti sociali e individuali, dell’individuo e della società.
La Religione, il controllo assoluto della mente umana; la Proprietà, il controllo assoluto dei bisogni umani;
e il Governo, il controllo assoluto del comportamento umano, sono la roccaforte della schiavitù umana e di
tutti gli orrori che comporta. La Religione! Come domina la mente dell’uomo, come umilia e degrada la sua
anima. Dio è tutto, l’uomo è nulla, dice la religione. Ma da quel nulla Dio ha creato un regno così dispotico,
così tirannico, così crudele, così terribilmente esigente che niente altro che sconforto, lacrime e sangue
hanno dominato il mondo da quando sono nati gli dei. L’Anarchia spinge l’uomo a ribellarsi contro questo
mostro nero. Rompi i tuoi ceppi mentali, dice l’Anarchia all’uomo, perché fino a quando non riuscirai a
pensare e giudicare da solo non potrai liberarti del dominio dell’oscurantismo, l’ostacolo maggiore a ogni
forma di progresso.
La Proprietà, il controllo assoluto dei bisogni dell’uomo, il rifiuto del diritto di soddisfare i propri bisogni.
C’era un tempo in cui la proprietà era un diritto divino, quando si rivolgeva all’uomo con lo stesso ritornello,
proprio come la religione, "Sacrificio! Abnegazione! Sottomissione!". Lo spirito dell’Anarchia ha
sollevato l’uomo dalla sua posizione prostrata. Adesso l’uomo sta eretto, con il viso rivolto alla luce. Ha
imparato a riconoscere la natura insaziabile, onnivora, devastante della proprietà, e si sta preparando a
uccidere il mostro.
"La proprietà è furto", diceva il grande anarchico francese Proudhon. Si, ma senza rischi e pericoli per il
ladro. Monopolizzando gli sforzi cumulati degli esseri umani, la proprietà li ha derubati dei diritti che sono
loro propri dalla nascita, trasformandoli in poveri ed emarginati. La proprietà non ha neppure la vecchia
scusa che l’uomo non produce a sufficienza da soddisfare tutti i bisogni. Lo studente dei principi base
dell’economia sa bene che la produttività del lavoro nel corso delle ultime decadi è cresciuta al punto da
eccedere notevolmente la domanda ordinaria. Ma che cos’è la domanda ordinaria per un’istituzione anormale?
L’unica domanda che la proprietà riconosce è il proprio avido appetito per una maggiore ricchezza,
perché la ricchezza è potere; il potere di sottomettere, di schiacciare, di sfruttare, il potere di rendere schiavi,
di oltraggiare, di degradare. L’America si vanta particolarmente del suo grande potere, della sua grande
ricchezza nazionale. Povera America, a che serve tutta quella ricchezza, se gli individui che formano la
nazione sono poveri in canna? Se vivono nello squallore, nella sporcizia, nel crimine, avendo perduto la
speranza e la gioia, un’armata senza terra e senza tetto di prede umane?
Si riconosce generalmente che a meno che i rendimenti di un’impresa eccedano i suoi costi, la bancarotta è
inevitabile. Ma coloro che sono impegnati nel business di produrre ricchezza non hanno ancora imparato
neppure questa semplice lezione. Ogni anno il costo di produzione in termini di vite umane diventa sempre
più grande (50.000 morti, 100.000 feriti in America lo scorso anno); i rendimenti per le masse, che aiutano
a creare ricchezza, diventano sempre più piccoli. Eppure l’America continua a ignorare l’inevitabile bancarotta
del nostro business della produzione. Né questo è l’unico crimine di quest’ultimo. Ancora più grave è il
crimine di trasformare il produttore in un semplice ingranaggio della macchina, con meno volontà e potere
decisionale del suo padrone di ferro e acciaio. Si sta derubando l’uomo non solo dei prodotti del suo lavoro,
ma del potere della libera iniziativa, dell’originalità e dell’interesse e del desiderio per le cose che costruisce.
La vera ricchezza consiste di cose utili e belle, di cose che aiutano a creare corpi belli e forti e un ambiente
ispiratore in cui vivere. Ma se l’uomo è costretto ad avvolgere cotone attorno a una spoletta, a scavare carbone
o a costruire strade per trent’anni della propria vita, non è possibile parlare di ricchezza. Ciò che offre
al mondo sono oggetti grigi e orrendi, che riflettono un’esistenza uggiosa e orrenda - troppo debole per
vivere, troppo codardo per morire. Strano a dirsi, ci sono persone che esaltano questo metodo di produzione
centralizzata come la conquista della nostra epoca di cui andare più fieri. Costoro non si rendono affatto
conto che se continuiamo nella nostra sottomissione alle macchine, la nostra schiavitù sarà più completa di
quanto non fosse il nostro servaggio al Re. Costoro non vogliono sapere che la centralizzazione non è solo
la campana a morto della libertà, ma anche della salute e della bellezza, dell’arte e della scienza, perché
tutte queste cose sono impossibili in un’atmosfera meccanica che funziona come un orologio.

L’Anarchia non può che ripudiare un tale metodo di produzione: il suo obiettivo è l’espressione più libera
possibile di tutti le potenzialità latenti dell’individuo. Oscar Wilde definisce una personalità perfetta come
"colui che si sviluppa in condizioni perfette, che non è ferito, menomato o in pericolo". Una personalità
perfetta, dunque, è solo possibile in uno stato della società in cui l’uomo è libero di scegliere come lavorare,
le condizioni del proprio lavoro, e la libertà di lavorare. Una per cui la manifattura di un tavolo, la
costruzione di una casa, o la coltivazione dell’anima sono come la pittura per l’artista o la scoperta per lo
scienziato: il risultato dell’ispirazione, del desiderio intenso e dell’interesse profondo nel lavoro come una
forza creativa. Tale essendo l’ideale dell’Anarchia, le sue strutture economiche devono consistere in associazioni
volontarie per la produzione e la distribuzione, sviluppandosi gradualmente nel libero comunismo,
come il modo migliore di produrre con il minore spreco di energie umane. L’Anarchia, però, riconosce
anche il diritto dell’individuo, o di un certo numero di individui, a organizzarsi ogni volta in altre forme di
lavoro, in armonia con i loro gusti e desideri.
Poiché questa libera manifestazione dell’energia umana è possibile solo grazie alla più completa libertà
individuale e sociale, l’Anarchia dirige le sue forze contro il terzo e più grande nemico di ogni forma di
uguaglianza sociale: lo Stato, l’autorità organizzata, o la legge scritta; il controllo completo sui comportamenti
umani.
Così come la religione ha impastoiato la mente umana, e così come la proprietà, o il monopolio delle cose,
ha soggiogato e soffocato i bisogni umani, così lo stato ha reso schiavo lo spirito, dettandone ogni fase del
comportamento. "Ogni forma di governo", dice Emerson, "è essenzialmente una tirannia". Non importa se
questo sia un governo per diritto divino o per criterio maggioritario. In ogni caso, il suo obiettivo è la completa
sottomissione dell’individuo.

L'ANARCO-FEMMINISMO DI EMMA GOLDMAN di bruna bianchi

È stata una delle donne anarchiche più impegnata nella rivendicazione e nella messa in pratica dei diritti dell’altra metà del cielo.
Ora le edizioni BFS ne pubblicano un’ennesima raccolta di scritti, con il titolo “Femminismo e anarchia”. Ne pubblichiamo ampi stralci dell’introduzione.


Il mito di Emma Goldman
Negli ultimi decenni sono stati dedicati ad Emma Goldman numerosi scritti; si tratta per lo più di studi di carattere biografico, pervasi da un’ammirazione profonda per il suo attivismo appassionato, il suo temperamento indomabile, l’audacia delle sue campagne sul controllo delle nascite e il libero amore, il rigore della sua lotta contro la coscrizione e la guerra, il prezzo altissimo pagato per le sue idee. In una tale impostazione la maggior parte degli autori ha seguito il sentiero tracciato da Emma Goldman stessa nell’autobiografia, Vivendo la mia vita, l’avventura eroica di una donna, ebrea, immigrata, anarchica che seppe aderire nella propria vita ai propri ideali. (…)
Già negli anni Trenta Emma Goldman era diventata una figura mitica, un’icona, il simbolo della fierezza anarchica. Raramente gli studi hanno messo in discussione un mito che però ha oscurato a lungo la complessità e la radicalità del pensiero di Emma Goldman. L’attivista focosa e la ribelle hanno messo in secondo piano la pensatrice. Priva di una vera creatività intellettuale, spesso esclusa tanto dagli studi generali sull’anarchismo che da quelli sul femminismo, essa è stata descritta come una divulgatrice delle teorie di altri, in particolare di Bakunin e di Kropotkin. «Ella non fu assolutamente una pensatrice politica e sociale di rilievo». Questo giudizio, espresso nel 1961 da Richard Drinnon in “Rebel in Paradise”, è stato costantemente ripreso negli anni successivi. Perpetuando una concezione consolidata nella storia del pensiero politico che contrappone vita emozionale e pensiero, la maggior parte degli studiosi ha sminuito il contributo dell’anarchica russa sul piano teorico. Non stupisce quindi che siano state soprattutto le studiose femministe, nella convinzione che l’esperienza esistenziale arricchisca e illumini il pensiero, a considerare la filosofia politica e sociale di Emma Goldman degna di attenzione.
Le ricerche recenti hanno messo in rilievo la ricchezza della sua formazione culturale e teorica che, oltre agli anarchici europei, all’individualismo di Nietzsche, Stirner e Ibsen, attinse agli autori della tradizione radicale di resistenza all’autorità americani. Fondendo il suo pensiero con quello di Ralph Waldo Emerson, Walt Whitman, Henry David Thoreau, Emma Goldman contribuì a sfatare il mito che considerava l’anarchismo un prodotto europeo, una dottrina estranea agli Stati Uniti, introdotta dagli immigrati. Dalla tradizione dell’individualismo americano, dall’ideale della piena libertà degli esseri umani, sia come persone che come cittadini, Emma Goldman trasse nuovo impulso per la sua stessa concezione anarchica.

Individuo e società
Solo l’anarchismo enfatizza l’importanza dell’individuo, le sue possibilità e bisogni in una società libera. L’anarchismo insiste sul fatto che il centro di gravità nella società è l’individuo, che egli debba pensare da sé, agire in libertà e vivere pienamente la propria vita.
Così scriveva Emma Goldman in un articolo del 1934 in cui faceva un bilancio della sua vita. L’anarchismo, il «meraviglioso ideale», «il grande fermento del pensiero», era la filosofia della piena espressione individuale e della «fusione armoniosa» di individuo e società (…)
La visione di Emma Goldman del «meraviglioso ideale» è una visione aperta alla possibilità. L’impegno di tutta la sua vita fu quello di favorire le condizioni per lo sviluppo e l’espressione di una interiorità vitale e creativa in tutti gli aspetti della vita contrastando i tentativi della società di controllare gli individui attraverso codici morali coercitivi e distruttivi dei legami personali e sociali che imponevano distorsioni agli impulsi naturali. I temi ai quali si rivolse la sua lotta politica e ai quali dedicò i suoi scritti: libertà di parola, indipendenza femminile, libertà sessuale, controllo delle nascite, diritti dei lavoratori, educazione alla libertà e al pensiero critico, a suo parere erano strettamente correlati, aspetti inscindibili di un unico processo che avrebbe condotto allo sviluppo di individualità forti e indipendenti, capaci di creare nuove e più libere forme di espressione.

Liberazione personale e mutamento sociale
Il modo di vivere la propria vita secondo gli ideali di libertà, a partire dalle relazioni più intime con gli altri, era per Emma Goldman un fine in sé e un aspetto cruciale del mutamento sociale (…)
Di quei dodici saggi scelti ad illustrazione del suo pensiero, risultato dello «sforzo della mente e dell’anima», cinque erano dedicati alla questione femminile: al tema del suffragio, della prostituzione, del matrimonio, della sessualità e dell’amore.
Le sue convinzioni radicali su questi argomenti apparvero ai contemporanei ben più pericolose delle idee che giustificavano la violenza rivoluzionaria e neppure nel movimento anarchico esse erano pienamente accolte, bensì considerate questioni di secondaria importanza, se non di vere e proprie deviazioni. È nota la conversazione di Emma Goldman con Kropotkin durante la quale l’anarchico russo le chiese se «valesse la pena perdere tanto tempo a discutere di sesso» e la sua raccomandazione rivolta alle anarchiche americane affinché dessero la priorità nella loro azione politica alla liberazione dei lavoratori (…)
A differenza della maggior parte delle suffragiste, Emma Goldman era convinta che l’indipendenza femminile non si sarebbe realizzata in seguito a miglioramenti economici o a concessioni dall’alto, ma avrebbe preso le mosse da una rigenerazione interiore, da una trasformazione del modo di pensare.
Una tale impostazione rivela la consapevolezza della natura complessa del dominio, una costrizione che si esercita in ogni aspetto della vita: sui bisogni materiali, sui corpi, sulla mente e sulla condotta. Il dominio è anche un modo di porsi di fronte all’esperienza sociale e personale che soffoca la vita, distorce la personalità degli individui, conduce alla omologazione delle idee e alla passività.
Opporsi al dominio in tutte le sue forme implicava un processo di liberazione dalle costrizioni esterne e interiori, imponeva che si rompesse il cerchio della dipendenza – economica, psicologica ed emotiva – perché si potessero manifestare ed esprimere i propri desideri e le proprie inclinazioni. In questo processo i temi della sessualità e della riproduzione assumevano un’importanza fondamentale, in particolare per le donne, oppresse dalla famiglia patriarcale e dalla morale puritana.

La critica al suffragismo
Le convinzioni di Emma Goldman sul rapporto tra liberazione personale e mutamento sociale la ponevano in aperto contrasto con il movimento suffragista. Le donne avrebbero dovuto liberare se stesse dai propri «tiranni interiori» e non attendersi l’emancipazione dalla partecipazione alla politica parlamentare, «corruttrice della personalità e delle convinzioni». Un tale antisuffragismo radicale non trovava consensi unanimi neppure tra le femministe anarchiche, alcune delle quali vedevano nel voto il riconoscimento del diritto delle donne ad esprimersi e pertanto un passo verso l’affermazione della propria dignità.
A parere di Emma Goldman era in primo luogo il modo di vivere la propria vita da parte delle sostenitrici del suffragio a dimostrare che la via da loro indicata era sbagliata. Il rifiuto delle convenzioni sociali, infatti, aveva condotto molte di loro ad escludere dalla propria vita le relazioni di intimità con gli uomini. Un messaggio di rinuncia, una scelta di impoverimento della propria vita affettiva da cui non poteva scaturire alcuna emancipazione (…)
Un altro motivo di contrasto con le suffragiste era legato al tema della differenza di genere. «La mia divergenza con le femministe [...] sta nel fatto che la maggior parte di loro vede la propria schiavitù come qualcosa di distinto dal resto del genere umano». Malgrado tutte le teorie politiche ed economiche che si occupano delle differenze fondamentali tra i vari gruppi della specie umana, malgrado le differenze di classe e di razza, malgrado tutte le artificiali linee di demarcazione tra i diritti dell’uomo e quelli della donna, da parte mia sono convinta che esista un punto in cui queste differenziazioni possono incontrarsi e riunificarsi in un insieme perfetto (La tragedia dell’emancipazione femminile).
Uno dei principali argomenti avanzati dalle suffragiste a favore del voto alle donne si fondava sulla convinzione della loro superiorità morale. Se le donne avessero potuto esprimersi attraverso il voto – affermavano –, se avessero potuto riversare nella società i valori femminili della cura e della difesa della vita, avrebbero contribuito a liberare la convivenza sociale dai mali che la affliggevano.
Al contrario – a parere di Emma Goldman – uomini e donne non rappresentavano mondi antagonisti, il dualismo dei sessi era una nozione assurda, una separazione meschina. Le donne non erano migliori degli uomini e non sarebbero riuscite là dove gli uomini avevano fallito. Gli esiti deludenti del suffragio femminile nella sfera sociale e politica nei paesi in cui le donne avevano ottenuto il diritto di voto, stavano a dimostrarlo.

Donne e uomini
Il rifiuto delle premesse del movimento per il suffragio condussero Emma Goldman a non misurarsi con la riflessione femminista contemporanea sulla differenza di genere. Benché nel complesso il movimento per il suffragio fosse un movimento di donne delle classi medie, conservatore e puritano, non mancava una corrente femminista che fondava la sua analisi sulla differenza tra i generi e che muoveva una critica radicale alla società industriale, al militarismo, allo sfruttamento sessuale delle donne, alla violenza domestica.
L’enfasi sulla necessità dell’incontro tra uomini e donne, sulla comune umanità, sul carattere artificiale delle divisioni e l’avversione per ogni forma di puritanesimo possono spiegare una tale sottovalutazione che condusse Emma Goldman a limitare le sue stesse argomentazioni. Infatti, quando essa fa riferimento alle esperienze femminili, non le definisce e non le analizza. «Femminilità», «istinto materno», «animo femminile», «emozioni profonde di una vera donna, innamorata e madre» sono espressioni che hanno potuto apparire conservatrici perché non si accompagnavano ad una riflessione sulla specificità femminile, che non poteva essere semplicemente elusa.
Ugualmente, la sua critica penetrante al concetto corrente di emancipazione, esteriore e superficiale, una emancipazione che finiva col rivendicare una parità vuota e acritica, come «il privilegio di diventare giudice, carceriera, boia», o quello di diventare «un automa da lavoro», si arresta di fronte alla mancata definizione del diverso processo di liberazione nell’uomo e nella donna (…)
Tanto Emma Goldman era distante dal modo di pensare delle suffragiste delle classi medie, quanto si sentiva vicina al vissuto delle donne delle classi lavoratrici. Lo rivelano i saggi dedicati al tema della prostituzione.
In questi scritti la sua analisi è acuta, penetrante, radicale, provocatoria. Essa equipara la prostituzione alle relazioni matrimoniali, individua le sue cause principali non solo nel fattore economico, ma anche nell’ignoranza e nella condizione di inferiorità in cui erano tenute le ragazze, nel pregiudizio che le condannava. Le ragazze sono definite le «vittime della moralità», ovvero di un’ipocrisia bigotta che considerava la prostituzione una necessità o un vizio femminile.
Anche in questo caso, la sua critica si arresta di fronte alla differenza tra i generi. Dopo aver affermato che la prostituzione «succhia la linfa vitale sia degli uomini che delle donne», la sua attenzione si fissa su colei che si prostituisce e ne analizza anche la distorsione dell’impulso sessuale, quella particolare sovreccitazione provocata dal lavoro negli stanzoni affollati delle fabbriche e dalla frequentazione dei locali di divertimento a basso costo. Sulla distorsione dell’impulso sessuale negli uomini, un tema che altre femministe del suo tempo andavano affrontando, Emma Goldman non fa alcun cenno.
Il rifiuto delle facili contrapposizioni tra uomini e donne, la volontà di fustigare l’ipocrisia puritana, conducono Emma Goldman ad eludere alcune tematiche cruciali dei rapporti tra i generi. Per queste ragioni il suo appello alla liberazione femminile appare talvolta volontaristico, quasi incurante degli ostacoli che le donne avrebbero dovuto affrontare per conquistare la dignità necessaria a rivendicare la propria indipendenza e tradisce una certa insofferenza per coloro che non seguivano il suo esempio.

Una pioniera e un modello
Attraverso i suoi scritti, le sue conferenze e l’autobiografia Emma Goldman voleva portare un messaggio e offrire un modello, dimostrare che la vita delle donne poteva essere libera ed emotivamente appagante. Il testo di una conferenza dedicata nel 1911 a Mary Wollstonecraft, al suo desiderio di fare l’esperienza di relazioni coniugali rivoluzionarie, alla ribellione contro le costrizioni autoritarie, al temperamento passionale, è particolarmente illuminante dell’immagine che Emma Goldman aveva di sé e dello spirito con cui si accostava alla questione femminile. Emma Goldman fu una delle poche femministe a far riferimento a Mary Wollstonecraft, sulla cui opera cadde ben presto il silenzio a causa della sua vita “scandalosa” e delle sue sfide al conformismo ritenute dannose per la causa emancipazionista. In Mary Wollstonecraft Emma Goldman si rispecchiava; in essa vedeva una figura tragica, la pioniera del moderno concetto di femminilità la cui vita e il cui pensiero la collocavano al di là della capacità di comprensione dei contemporanei (…)
Come Mary Wollstonecraft, Emma Goldman in diverse fasi della vita fu travolta dalla passione per un uomo, una passione che sentiva come un limite alla sua libertà e che la sua ragione rifiutava. La tensione tra libertà e reciprocità, tra il desiderio di completa indipendenza e quello della sicurezza di un legame, tra le sue convinzioni sul libero amore e l’incapacità di liberarsi dalla gelosia, fu un vissuto lacerante. Lo rivelano l’autobiografia e soprattutto le lettere inedite. Così scriveva a Ben Reitman nel 1909: Non ho il diritto di portare un messaggio agli altri quando non c’è messaggio nella mia anima. Non ho il diritto di parlare di libertà poiché sono diventata una schiava abbietta in amore.
Le riflessioni più radicali contro la monogamia e la gelosia, come quelle contenute nella conferenza La gelosia, le sue cause e una possibile cura, furono elaborate nei periodi più tormentati delle sue relazioni d’amore, quando stava conducendo una lotta interiore per superare quei sentimenti che criticava pubblicamente. Le esortazioni a condurre una vita libera che rivolgeva alle sue uditrici, i suoi appelli alla volontà, erano gli stessi che rivolgeva, in modo sofferto, a se stessa.
Nel 1931, così scriveva ad Alexander Berkman: «Nella lotta che mi lacerava ogni volta che dovevo decidere tra il mio amore per un uomo e le mie idee, invariabilmente le mie idee e non la mia passione hanno deciso la mia strada». Il fatto è che non abbiamo scelta, aveva scritto, sempre ad Alexander Berkman, nel 1925, «l’impulso verso la libertà, che spinge alla lotta per un ideale più elevato, è talmente grande e trascinante che non possiamo resistere». L’ideale di un futuro anarcofemminista, un tempo in cui tutti sarebbero stati liberi nell’amore e nel lavoro, in grado di fare di se stessi persone pienamente umane e creative in grado di produrre vera ricchezza sociale (…)
Tale era lo «splendido ideale» a cui aveva dedicato la sua vita e che la rendeva insofferente di ogni meschinità, di ogni prospettiva politica ristretta, che animava la sua critica sferzante e determinava la sua intransigenza.
Emma Goldman ci ha lasciato un’eredità complessa; attraverso la sua vita e la sua elaborazione teorica ha contribuito a dare una dimensione femminista all’anarchismo e una dimensione libertaria al femminismo. La sua convinzione dell’interdipendenza tra il mutamento sociale e collettivo e quello interiore degli individui merita di essere ripresa, apprezzata in tutto il suo valore, arricchita dall’esperienza della nostra vita.